di Martina Calì
“Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere”.
(Niccolò
Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori; 1497)
Francesco
de Sanctis definì Niccolò Machiavelli il “primo uomo moderno”.
Tra le letture giovanili di Niccolò Machiavelli fu determinante
quella del De
rerum natura
di Lucrezio, impregnato di un forte materialismo e di un ateismo
razionale di derivazione epicurea.
Redigendo
Il
Principe
nell’estate del 1513, quando era esiliato a Sant’ Andrea in
Percussina, Machiavelli riprese l’ azione politica nell’ unico
modo possibile che gli rimaneva: con un argomentare stringente che si
concludeva con un appello all’ azione. L’ opera uscì però
postuma, nel 1531.
Prima
di essere esiliato fu imprigionato e torturato con l’ accusa di
alto tradimento e rischiò la condanna a morte. In seguito a questa
vicenda, egli dovette sentirsi miracolato e la stesura de Il
Principe
dovette equivalere per lui a:
- Fare i conti con l’ esperienza politica passata, raccogliendo gli insegnamenti che aveva tratto;
- Tornare ad agire in politica, pur non ricoprendo più il ruolo di cancelliere dello Stato fiorentino.
Politica
per Machiavelli è l’arte
dello Stato,
che si impara dalla realtà
effettuale
della città
è però significativo il fatto che la parola “politica” ne Il
Principe
non venga affatto usata. Anche la dimensione morale non è
tematizzata ne Il
Principe.
Segno
della lungimiranza di Machiavelli è il vedere l’Italia come una
realtà sovra-territoriale, che supera gli orizzonti ristretti della
repubblica fiorentina e dei singoli stati che ne costellavano il
territorio (più o meno come oggi noi tendiamo a istituire il
rapporto tra Italia e singoli paesi con l´Europa). Nello scrivere la
storia fiorentina ( Istorie
Fiorentine
) egli scrisse in
nuce
la storia d’Italia. Trattò la storia di Firenze fino al 1492, anno
in cui Lorenzo il Magnifico morì, tenendo presenti problemi e
tendenze rilevanti per il tutto contesto italiano.
In
questo lavoro storico Machiavelli si prescrive un certo distacco. Dà
largo spazio alla descrizione dei fatti senza indugiare troppo sulle
maldicenze e le astuzie politiche. Se ha da suggerire una critica, la
mette in bocca a qualche protagonista dei fatti
scrittura ‘acritica’. Ciò perché voleva ottenere il massimo di
pubblico possibile e credeva nel valore pedagogico della storia. La
storia doveva servire a rendere savi i cittadini, affinché
imparassero a “mantenersi uniti”. E qui già tocchiamo uno dei
massimi problemi su cui egli si arrovellava. Cercava di trovare una
risposta a queste domande: Perché Firenze e l’Italia degli ultimi
secoli non avevano mai avuto una storia unitaria? Da dove proveniva
il virus della divisione e della decadenza?
Una
sua risposta la si trova leggendo come analizza e interpreta la
divisione delle classi. Nella Roma antica il popolo era diviso
solamente in due classi: i plebei e i nobili. La lotta tra queste due
fazioni era in se stessa giusta e non guastava inesorabilmente gli
equilibri della repubblica e dell’impero, come invece avveniva a
Firenze ai tempi di Machiavelli. La realtà di Firenze era tanto
diversa da quella della Roma antica, perché alle due classi
sopraddette si aggiungevano tante altre micro-fazioni e sottoclassi.
Infatti, alla lotta originaria tra nobili appartenenti alla fazione
guelfa e quelli della fazione ghibellina si aggiungevano le lotte e i
contrasti tra i capifamiglia. Il popolo, poi, era diviso in grasso e
minuto. Tra questi due nuclei sociali l’invidia era sempre presente
e permetteva l’esplodere di sempre nuovi conflitti. Machiavelli
cercava la soluzione anche nei testi classici dell’antichità
perché a suo avviso le passioni umane sono sempre le stesse e
diventano sempre e di nuovo effettuali. Perciò ha senso cercare
insegnamenti nella storia, individuando costanti e varianti
specifiche ai diversi contesti.
Altri
elementi di divisione politica sono per lui:
- La politica papale più precisamente il ricorso della Chiesa a forze esterne (esempi: Carlo Magno nel Medioevo e – più recentemente – l’aiuto francese alla chiesa romana);
- La religione nel momento in cui si trasforma, quando – cioè – sorgono nuove sette ed eresie. Anche queste, infatti, sono causa di dissoluzione politica. Perché? Perché le divisioni su questo terreno sono subito laceranti per la società intera. La religione, secondo Machiavelli, incide tanto a fondo da lasciare sempre il segno. Un esempio storico: la divisione tra arianesimo e cristianesimo cattolico nel IV e V secolo d.C. In materia religiosa bisognerebbe pensare soprattutto ai “miseri”, ché sono soprattutto loro a cercare conforto nella religione. Se si creano nuove divisioni religiose, sono loro i primi a patire delle conseguenze sociali e politiche delle diatribe.
Un’altra
preoccupazione di Machiavelli fu la necessità per l’Italia di
avere un unico esercito di fronte alla minaccia dei mercenari
necessità di una milizia nazionale.
La
concezione della politica, secondo Machiavelli è come una
fluitazione di proposte dal popolo al sovrano. Queste proposte devono
essere portate a compimento e il principe deve saper interpretare le
esigenze del popolo (non solo quelle dei nobili).
Altri
temi ricorrenti ne Il
Principe:
- Religione Machiavelli ne fa un accenno quando parla dei principati ecclesiastici (Da notare il fatto che Il Principe venne redatto sotto Leone X, un papa mediceo). Religione è per Machiavelli un termine onnicomprensivo, che implica qualsiasi religione e culto (come nella Roma antica). All’inizio la religione era intesa come “ordine religioso”. In seguito, forse anche grazie alla lettura di Lucrezio, la religione fu intesa da Machiavelli in un senso originario e onnicomprensivo, nella stessa maniera in cui San Francesco, San Domenico fino ad arrivare a Lutero (1517) intesero il rinnovamento della religione come un ritorno all’originario. Ri-forma della Chiesa fu anche per Lutero un ri-torno all’originario.
La
religione
è essenzialmente per Machiavelli un vincolo
per tenere unita una “provincia”. È in nome della vocazione
religiosa che, ad esempio, si è resa possibile la reconquista
spagnola.
- Fortuna vs. Virtù la prima è sempre preponderante e senza limiti. La seconda può solamente preparare argini, ma è in ultima istanza la fortuna a decidere tutto (influsso della riflessione di Pomponazzi sui limiti del libero arbitrio e della capacità decisionale dell’uomo).
Machiavellismo:
La
storia de Il Principe è legata in buona parte – e purtroppo –
alla storia delle sue interpretazioni devianti e alle critiche che ne
sono state date. Forse mai come nel caso di Machiavelli si può
osservare una discrasia tanto grande tra il reale e la finzione, tra
Machiavelli storico e l’immagine che ne è stata data e trasmessa.
Da questa immagine distorta si è fatto di Machiavelli un “mostro”:
quello del machiavellismo.
Da
notare che lo stereotipo negativo del machiavellismo coinvolge
purtroppo ancora oggi non solo Machiavelli ma è divenuto
rappresentativo di tutto il popolo italiano: la visione della
religione come strumento di governo, il fatto che il principe possa
fare finta di credere in Dio se può essere utile al consenso, le
immagini del “leone” e della “volpe” presenti ne Il
Principe, come
se ad esse si riducesse l’ approccio machiavelliano alla politica,
sono
purtroppo diventati lo stereotipo di un’Italia corrotta e di un
modo cinico e scettico degli italiani di concepire il potere e la
civitas.
Così il machiavellismo è divenuto l’ immagine di un paese
immorale.
Responsabili
della trasmissione di questa immagine distorta
ovvero come nasce questa immagine distorta del Machiavelli: furono
per primi – nella seconda metà del ‘500 – sia i calvinisti che
i cattolici francesi, impegnati a contendersi la monarchia. Ma la
‘malapianta’, anche se a livello scientifico è stata estirpata,
non lo è nel senso comune, laddove si annidano tenacemente i luoghi
comuni.
Accenni
sulla ricezione dell’opera:
- I primi lettori furono studenti e studiosi dell’università di Bologna;
- Erasmo da Rotterdam ne ebbe notizia grazie ad uno studente abruzzese che si trovava a Strasburgo;
- Persino Juan Gines de Sepùlveda (1490 –1573) (umanista spagnolo anti-erasmiano e sostenitore dell'inferiorità degli indios e della necessità della conquista per portare l'evangelizzazione nelle Americhe) si servì de Il Principe per giustificare il processo di conquista dell’America Latina. L’effetto di una strumentalizzazione degli scritti si esprime bene con le parole di Michael Foucault: questi effetti “non derivano da uno scritto ma da quanto si dice su questo scritto”. È per questo che erroneamente molti interpreti hanno visto ne Il Principe la teoria della necessità di una simbiosi tra stato e religione, ma tale che la seconda sia strumento del primo;
- Filone inglese l’ influentissimo cardinale Reginald Pole (uno dei cosiddetti “spirituali”) – letto Il Principe – si disse convinto che a scriverlo non fosse stato Machiavelli ma il diavolo attraverso le mani di Machiavelli;
- Spagna Carlo V ne volle una traduzione (insieme ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e a Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione) e lo consigliò al proprio figlio Filippo;
- Ogni biblioteca dei potenti era fornita di questo scritto; anche Papa Sisto V (che prima di diventare Papa era stato inquisitore di Venezia) ne fu un attento lettore anche lui vide nei contenuti de Il Principe un potenziale pericolo, un veicolo per la diffusione di ateismo e immoralismo;
- Federico II di Prussia lo lesse con estrema attenzione e, con l’aiuto di Voltaire, ne scrisse una critica: “L’Antimachiavelli“; poi mise in pratica il “messaggio“ machiavelliano nel migliore dei modi e con grande successo;
- Un ugonotto (Innocent Gentillet) scrisse nel 1576 il Discours sur les moyens de bien gouverner (Anti-Machiavel)” ancora una volta uno scritto che contribuì a diffondere l’immagine di una teoria della tirannide quale potere illimitato e incontrollato. La “confutazione” di Gentillet si fonda tuttavia sulla mancata lettura de Il Principe. Evidentemente il sentito-dire bastava. Lo scritto dell’ ugonotto aggiunge alla originaria condanna cattolica de Il Principe la condanna calvinista Effetti: Caterina de’ Medici (detta la Fiorentina), ispiratrice della notte di San Bartolomeo (1572), fu vista, anche grazie a questo filone interpretativo, come l’ incarnazione in Francia del modello mediceo del fare politica, al di fuori di ogni codificazione giuridica.
La
prima edizione, italiana, de Il
Principe data
il 1531. Papa Clemente VII, di nuovo un Medici, ne concesse la
pubblicazione. Presto però le cose cambiarono. Con Paolo IV finì
all’ Indice dei libri proibiti. Ma questo non ne impedì la
diffusione in tutta Europa, grazie all’ opera di esuli italiani. Il
libro si diffondeva rapidamente e massicciamente, tradotto nelle
varie lingue volgari. Alcuni dati ed esempi:
- Edizione di John Wolfe (edizione inglese con luogo di stampa … Palermo!) il testo pervenne nelle mani di William Shakespeare.
Edizione latina: a Basilea per mano di un lucchese (traduttore) e di un folignese (editore). La seconda edizione latina fu quella di Hermann Conring;
- Edizione di Giacomo Castelvetro;
- Vi fu una traduzione francese edita ad Amsterdam;
- I Gesuiti leggevano accuratamente sia Erasmo da Rotterdam che Machiavelli, nonostante le opere di entrambi gli autori facessero parte dell’Indice dei libri proibiti.
Nel
‘700 il successo del testo ebbe un nuovo forte impulso grazie al
diffondersi dell’idea razionale di religione, frutto del lavoro dei
deisti.
Immagine
positiva del machiavellismo
Machiavelli repubblicano e anti-tirannico:
- Nei Paesi Bassi (in guerra con la Spagna durante la guerra degli ottant´anni; 1568-1548);
- In Olanda (dove vi furono numerose ristampe): Spinoza nel suo Trattato teologico politico e nel Trattato politico esprime la propria esecrazione verso l’immagine del machiavellismo;
- John Milton: puro machiavellico in senso positivo;
- Diderot: consacrazione del machiavellismo in chiave positiva come “libertà repubblicana”.
Fine
del Machiavellismo:
- Secondo Leo Stauss (1899-1973) – prima dell’Illuminismo, gli autori, non godendo di una effettiva libertà di opinione, scrivevano “tra le righe”, in maniera strategica, per schivare il controllo ecclesiastico. Leo Strauss auspicò anche per Il Principe di Machiavelli una lettura più approfondita al fine di capirne la vera importanza. (Del resto Leo Strauss stesso ammise di aver scritto “tra le righe” per aggirare il controllo maccartista).
Martina Calì
Heidelberg,
2 dicembre 2013
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