Makroskop
Analisi critiche di Politica ed Economia
EUROZONA | 23
/ 09 / 2016
Polveriera Italia
di Heiner Flassbeck [ Traduzione di Michele Paratico ]
Il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha criticato d’acchito il
vertice informale dei capi di governo di Bratislava. E con ragione. Questo modus
operandi mostra quanto sia profonda la crisi in Europa e specialmente in
Italia. Tuttavia alcuni, al Nord, giocano ancora allegramente col fuoco sotto
la polveriera Italia.
È già abbastanza degno di nota che il
primo ministro di un importante stato europeo parli apertamente di insuccesso
dopo un vertice. La Süddeutsche Zeitung (quotidiano di Monaco, ndt.) ha
descritto e commentato il disaccordo tra
i tre membri fondatori della EU come segue:
“Il primo ministro Matteo Renzi si é rifiutato di
comparire insieme alla cancelliera Angela Merkel perché la Germania non sarebbe
disposta a ritirare l’imperativo dell’austerità, facendo così precipitare l’Europa
nella povertà. Renzi ritiene che, come viene richiesto ovunque in Europa, in
tal modo non ci potrà essere un nuovo inizio per l’Europa – un’affermazione
sfacciata”.
Che la Süddeutsche Zeitung si butti a
pesce nella tenzone e respinga le critiche italiane è chiaro e naturale.
L’autrice dell’articolo, Cerstin Gammelin, si picca di sostenere che non si
possa parlare di politica dell’austerità né in Germania, né nel resto
dell’Europa. „Al contrario“, dice, „la Germania spende oggi così tanto come
nessun altro paese della EU.”
Logica Bavarese
Che il più grande paese della EU
effettivamente spenda più degli altri paesi più piccoli, sarebbe “la prova
finale”, che non ci sia una mania del
risparmio in questo paese (la Germania, ndt.). Che uno stato abbia delle
eccedenze nella bilancia dei pagamenti e nel budget statale, invece è un criterio
che non esiste per la Süddeutsche Zeitung. Chi spende molto, semplicemente non
può essere un tirchio, indipendentemente da quanto intasca. Questa è del resto
la logica bavarese al tempo dell’ Oktoberfest e quindi sotto il livello
intellettuale della casalinga sveva (gli svevi sono noti per la parsimonia,
ndt.), la quale certamente si adatta come minimo alle sue entrate e al suo
reddito.
Renzi litigherebbe apertamente con i
tedeschi, perché incapace di svolgere i suoi compitini (“Hausaufgaben”
nell’originale sono i compiti a casa degli scolari, ndt), come del resto già il
ministro delle finanze bavarese Söder di questo aveva rimproverato i Greci, incapaci
per motivi atavici. La Süddeutsche
Zeitung lo sa proprio bene:
“Anche l’Italia vuole diminuire le tasse e le
spese sociali, soprattutto per aumentare la sua competitività. Il problema è
che Renzi non ha abbastanza spazio di manovra nel bilancio dello stato. Per
questo chiede una maggiore flessibilità nelle regole del debito (pubblico,
ndt.) – e, di fronte al pubblico di casa,
litiga con la Germania, presunta campionessa di risparmio. Questa cosa
non porta a nulla.”
Chiaro che questa cosa non porta a nulla,
quando lo si dice allo stato europeo, che, a causa del suo enorme avanzo
commerciale, costringe i paesi vicini al deficit di bilancio o alla recessione
(come abbiamo dimostrato nel caso italiano; vedi
allegati, ndt), allo stato europeo che sta strangolando i suoi vicini e
l’Europa. Ma cosa dovrebbero ancora dire e fare i paesi vicini? Sbraitare e picchiarsi
selvaggiamente tra di loro perché non è possibile nemmeno mettersi d’accordo
con i vicini del Nord sul rispetto di semplici relazioni macroeconomiche? La
Germania sta solo aspettando che la disperazione di politici ragionevoli dei
paesi vicini arrivi a livelli tali che si arrendano e cedano il posto a
nazionalisti radicali?
Con pregiudizi stupidi, “saudumm” per dirla alla bavarese (“saudumm” significa “stupido come una
scrofa” ed è espressione corrente in Baviera, ndt.), non è possibile fare una
politica ragionevole. Si ha a volte l’impressione che tutto il Nord Europa si
rotoli nel fango dei problemi dei sudeuropei per provare ciò che c’era da
provare, ovvero che l’uomo del Nord è una specie superiore.
La Lira una moneta debole?
Si prenda un lungo commento uscito sullo Schweizerischer Tagesanzeiger (quotidiano
di Zurigo, ndt.) che almeno riconosce come l’Italia sia il caso critico
decisivo e il più grosso rischio per l’Europa. Quel che segue poi come
“analisi” (virgolettato nell’originale, ndt.), raggiunge il culmine nella
dichiarazione seguente:
“Così gli italiani, prima dell’ingresso nell’Euro,
erano economicamente in grado di sopravvivere e potevano vendere le loro auto e
i loro macchinari sul mercato mondiale solo grazie alla loro moneta debole. In
effetti la lira italiana ha perso nei confronti del marco tedesco molto più
dell’80% nel periodo tra il 1971 e l’introduzione dell’Euro. Dall’introduzione
dell’Euro questo non è più possibile. L’Italia non ha ancora abbandonato
mentalmente le vecchie abitudini e deve pagare per questo con una crescita
anemica e un alto debito (pubblico, ndt.)”
Tutto questo è falso, quanto una cosa possa
esser falsa. Una moneta debole non ha niente a che vedere con la capacità
produttiva di un paese. Una moneta debole significa solo che tale paese ha un
più alto tasso di inflazione rispetto ai paesi con una moneta forte. Se un paese mostra un buon sviluppo della
produttività, produce prodotti eccellenti oppure dispone di una struttura per
l’esportazione fantastica, tutto ciò non si spiega con una “moneta debole”. Le
valute dei paesi nordici erano solo “più solide” perché il loro tasso di
inflazione era minore grazie alla moderazione nelle richieste salariali dei sindacati.
Dall’inizio dell’ Unione monetaria
l’Italia ha lasciato dietro di sé anche questa fase di alta inflazione ed è
stata molto disciplinata in merito alla politica salariale (con una crescita
del costo del lavoro per unità di prodotto di circa 2,5% dal 1999 al 2010). Che
nello stesso periodo un grande paese con una tradizione di moneta forte si
trasformasse in un paese mercantilista e che l’Unione monetaria gli offrisse questa
possibilità poiché i partner (nell’unione, ndt.) erano ingenui e di buona fede,
tutto ciò non si poteva in verità immaginare né in Italia né altrove.
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