Quadro
demografico
Nella
prima metà del ‘300 la popolazione urbana in Italia si attestava
tra il 20% ed il 25% dell’ intera popolazione. Le stime sulla
popolazione totale sono molto incerte. A seconda degli autori variano
dai 10 mil. di 12,5 mil. di abitanti.
Più
sicuri i dati sulle città. Considerando città, nel e per il ‘300,
i centri superiori ai 5.000 abitanti si hanno questi dati: in
totale 193 città,
delle quali 79 superavano i 10.000 abitanti. Tra queste ben 43
superavano i 15.000 abitanti [ un dato di prim’ ordine se pensiamo
che Londra aveva a quel tempo circa 25.000 ab., Vienna meno di
20.000, Amburgo meno di 10.000. Città estere di prima grandezza
erano Bruges con 35.000 ab. e Colonia con 30 / 35.000 ab. ].
Le
grandi città italiane che superavano i 40.000 abitanti erano:
Brescia, Cremona, Milano, Padova, Verona, Venezia, Genova, Bologna,
Firenze, Siena, Messina e Palermo. Roma e Napoli contavano
rispettivamente 30.000 e 33.000 abitanti.
Le
metropoli del tempo erano Milano ( 150mila), Venezia (110mila) e
Firenze (110mila), a cui andrebbero aggiunte Genova (60mila) e
Bologna (60mila).
In
totale, a quel tempo, abitavano nelle città poco più 2,5 milioni di
italiani. A quel tempo l’ Inghilterra contava 5 milioni di
abitanti, di cui pochissimi urbanizzati.
La
distribuzione era però diseguale.
Le
regioni con il maggior numero di centri urbani importanti e con il
maggiore tasso di urbanizzazione erano: Lombardia, le Venezie, l’
Emilia Romagna, la Toscana, l’ Umbria, le Marche, la Puglia e la
Sicilia.
Le
prime 6 regioni costituivano la zona decisamente più popolosa d’
Europa.
La
popolazione urbanizzata dell’ Alta Italia e della parte Nord del
Centro
(
Toscana, Umbria e Marche ) [ chiamiamola: zona 1 ] ammontava a circa
i due terzi del totale. Il resto era dislocato da Lazio e Abruzzo in
giù e nelle isole
[
zona 2 ].
Anche
il tasso di urbanizzazione delle due zone era differente. Ipotizzando
una popolazione di 11,5 milioni di abitanti, nella zona
1 la quota di
popolazione urbana era tra il 23 % e il 24 % della propria zona,
nella zona 2
tra il 18% e il 19%. Nella zona 1 abitavano circa 7 milioni di
persone, nella zona 2 circa 4,5 milioni.
I
dati dell’ urbanizzazione italiana, se confrontati con il resto d’
Europa, sono notevoli. Per dare un’ idea: per molti secoli la
maggiore città tedesca fu Colonia, la cui popolazione variava tra i
30 e 35.000 abitanti. Londra aveva probabilmente 25.000 abitanti. A
Nord delle Alpi c’ era una sola metropoli, Parigi, che contava
100.000 abitanti.
Dinamica
demografica ed economica: la rivoluzione urbana
[ Vedi:
“Storia economica dell’ Europa preindustriale, di Carlo M.
Cipolla, Il Mulino 2002, p. 14 , tabella 1 ]
Grande
espansione dal 1.000 alla fine del ‘200 che ha come cause
di fondo quattro
fattori geopolitici (politico-militari ed etnico-religiosi): [ 1 ) l’
arresto spontaneo delle incursioni predatorie dei Vichinghi, loro
insediamento in Normandia e in Britannia, 2 ) l’ arresto delle
incursioni magiare grazie alle truppe tedesche di Ottone il Grande,
nella battaglia di Lechfeld, nel 955 + l’ arresto della diffusione
degli slavi, + il ‘Drang nach Osten’ germanico 3 ) inizio della
Reconquista nella Penisola Iberica 4 ) le Crociate ].
Causa
endogena, di tipo
economico- sociale:
l’economia
curtense, basata sull’ autarchia ed il lavoro servile, venne
aggredita e gradualmente soppiantata da un nuovo sistema economico,
basato sulle città, gli scambi ed il lavoro libero.
Il
fenomeno cittadino prese forma e si sviluppò con un massiccio
movimento migratorio dalle campagne. Le mura delle città tagliavano
in due il mondo di allora e segnavano il confine tra due culture
disomogenee o in conflitto.
Di
gran lunga all’ avanguardia del fenomeno cittadino era l’ Italia
centro-settentrionale. Testimonianza di Ottone di Frisinga (zio del
Barbarossa): “ In Italia comanda il popolo ”.
Tra
il 1180 e la metà del ‘300 ci fu il più lungo ciclo economico
espansivo della storia europea: 150 anni. Il motore fu l’ economia
monetario-mercantile e lo sviluppo delle città. In Italia il
‘200 fu il secolo
del popolo (
borghesia
).
Tutto
questo non deve portare a conclusioni fuorvianti. L’ Europa restava
e resterà per lungo tempo una regione in prevalenza agricola. Ma la
borghesia c’ è, conta sempre di più. La sua più forte presenza è
nell’ Italia centrosettentrionale.
Tipologia
delle città: [nella
bibliografia: vedi M. Ascheri + C. M. Cipolla, parte II, cap. 1°]
Città
borghese : enclave
nell’ universo feudale e prevalentemente agrario, entità sotto
tutela imperiale o monarchica. La nobiltà viveva in campagna, nei
suoi castelli. Nelle città era lasciato campo libero ai borghesi. Le
città erano soprattutto centri commerciali o produttivi, ma sotto
tutela monarchica o imperiale: oasi non feudali in rapporto feudale
con il sovrano. Loro diffusione: soprattutto a Nord delle Alpi.
Universitates
: realtà urbane
create dal o sottoposte al sovrano da un legame feudale, ma in cui
risiedeva anche la nobilità. Tipiche del Sud Italia.
Città-stato
: realtà urbane, createsi spontaneamente (spesso attorno ad un
vescovado) o rivitalizzando antiche città romane per opera congiunta
di laboratores e bellatores (nobiltà minore e cadetti), realtà che
si autogestiscono secondo un modello che già fuoriesce dal modello
feudale. Queste città sperimentano l’ autogoverno in senso pieno e
danno poco alla volta l’ assalto al contado (legandolo a sé,
spingendo contadini e artigiani dei villaggi ad inurbarsi). Si
scontrarono così con i feudatari locali, poi con l’ Impero stesso
ed in parte con il Papato. Praticamente diffuse solo nel Centro-Nord
italiano.
Le
città più dinamiche furono le prime e le terze. Le prime solo da un
punto di vista economico e sociale, le terze anche da un punto di
vista politico e istituzionale. In esse (prime e terze) si sviluppò
un’ ampia borghesia.
Integrazione
città-contado e ruolo economico della Chiesa [ vedi: C. M. Cipolla,
parte I, cap. 8 (pp. 67 – 71 ) ]
a ) In
tutta l’ Italia centro-settentrionale le città riuscirono a
diventare egemoni sul contado circostante. Iniziarono presto una
politica di de-feudalizzazione. Oppure avvenne che i coltivatori
diretti si mettessero sotto la tutela della città. Attorno ad esse
ruotava una galassia di villaggi e cittadine agricole.
Presto
furono gli stessi mercanti e imprenditori cittadini ad interessarsi
alla terra, come fonte di investimento (differenziazione del
capitale) e di sicurezza economica per periodi di crisi.
Nell’
insieme si ebbe un effetto rivoluzionario sulle campagne: spinta alle
bonifiche e alla canalizzazione, redditi più alti, inserimento in un
circuito commerciale dei prodotti agricoli, affrancamento della
servitù della gleba.
b ) Un
impatto particolare si ebbe anche nei confronti delle proprietà
ecclesiastiche. In Lombardia, a metà del ‘500 il patrimonio
agricolo ecclesiastico ammontava solo al 15% del totale. Nel
Piacentino era addirittura del 9%: dati nettamente inferiori al resto
d’ Europa, eppure non c’ era stata la Riforma Protestante.
Come
spiegare il fenomeno ? Con questa strategia: presa in affitto a
livello o decima di terre ecclesiastiche, ma con la clausola
contrattuale particolare che, in caso di migliorie dei terreni,
queste dovevano venire riconosciute e pagate al fittavolo da parte
del locatore. Se questi però non poteva farlo, allora pagava in
natura, cedendo al fittavolo una parte della terra. Così, poco alla
volta, le enormi proprietà ecclesiastiche vennero erose diventando
beni allodiali di mercanti o grandi agricoltori ‘borghesi’. [
Questo spiega anche perché la Lombardia era così appetibile per gli
austriaci e perché la borghesia lombarda, cittadina e non, fu l’
unica ad essere pronta per la fase napoleonica ].
Lo
stesso non avvenne però né a Venezia, né in Toscana o nella
Romagna. Lì la quota di terre di proprietà della Chiesa rimase
immensa e crebbe addirittura nei secoli XVI e XVII.
Sviluppo
dell’ economia mercantile, creditizia e monetaria [ vedi: C. M.
Cipolla, parte II, capp. 23 e 24, (pp. 227 – 263 ) ]
Solo
alcune parole chiave per rammentare alcune innovazioni economiche
made in Italy:
Organizzazione
delle fiere e delle compensazioni di fiera. Diffusione dei manuali di
mercatura. Sviluppo di nuovi tipi di contabilità (partita doppia).
Le banche compaiono per la prima volta a Genova nell’ XI secolo
(originariamente erano dei cambiavalute). Sviluppo della lettera di
cambio. Lo chèque, la girata, la cambiale tratta.
Notevole
sviluppo di banche e gruppi finanziari privati. Ad essi si
aggiungeranno in seguito i banchi pubblici ed infine i Monti di pietà
(una sorta di casse rurali ante
litteram).
Titoli
di stato (credito allo stato) contrattabili in borsa.
Contratto
di commenda. Assicurazione delle commende.
Al
centro di tutto questo sviluppo sono i grandi mercanti, che divengono
anche il perno della produzione, del sistema creditizio e bancario,
così come del sistema finanziario-assicurativo. Si creano poi
attorno ad alcune grandi famiglie di mercanti dei veri combinati
finanziario-commerciali. Poi nascerà anche la forma della compagnia
mercantile. Dapprima a Genova e che farà scuola in Olanda e poi in
Ingilterra.
M o
n e t a
Dall’
XI secolo si diffonde e cresce l’ uso della moneta, non più
appannaggio solo degli imperatori e dei regni. Soprattutto in area
italiana e tedesca, per via dello stato dell’ Impero, a battere
moneta erano autorizzate una miriade di istanze locali ( principati,
ducati, contee, città ). Monometallismo: argento. Problema:
instabilità e insicurezza nell’ uso della moneta per via del suo
logoramento e perché la moneta veniva svilita dalle zecche per
ordine dei loro sovrani che volevano così ridurre i loro debiti.
Questo frenava molto gli scambi e i prestiti.
La
soluzione venne a metà del ‘200. Quasi contemporaneamente Genova e
Firenze iniziarono a coniare monete d’ oro puro del peso di circa
3,5 grammi.
Correva
l’ anno 1252. Nel 1284 Venezia fece lo stesso. Queste tre monete
divennero le monete con cui si effettuavano i pagamenti a livello
internazionale, per gli scambi, i prestiti, le assicurazioni. Erano
monete stabili che fungevano anche come sicuro metro di riferimento
per determinare il valore di scambio dei beni.
Prime
forme di industria manifatturiera. Settori principali. Preminenza
italiana in Europa dal ‘200 all’ inizio del ‘500. Crisi,
‘estate di San Martino’ nella 2° metà del ‘500. Crisi
irreversibile dall’ inizio del ‘600.
Dominante
resta la figura del mercante, che è colui che possiede e anticipa il
capitale e spesso trova la materia prima, così come colui che si
occupa dello sbocco commerciale.
I
settori in cui sorsero le corporazioni artigiane più potenti e poi
si ebbero gli inizi della manifattura industriale erano quelli
tessili: lana, cotone e seta. Un altro settore in cui si ebbe una
forte specializzazione fu quello dei cantieri navali. Non irrilevante
era anche il settore della produzione di armi.
Il
settore principe rimase però quello tessile, sia perché occupava un
numero di manodopera assai maggiore, sia perché maggiormente
collegato a sviluppi tecnologici e all’ aumento della produttività.
Non da ultimo, riuscì a darsi una certa divisione internazionale del
lavoro.
La
prima regione leader fu la Fiandra. Poi presero il sopravvento i
toscani ed i veneti. Dopo un lungo predominio, solo verso la fine del
‘500 il primato passò agli olandesi. Un secolo dopo furono gli
inglesi a superare gli olandesi. Con la rivoluzione industriale ed il
macchinismo consolidarono il loro primato ancor di più.
“ Lo
sviluppo economico dei Comuni italiani fu largamente determinato
dallo sviluppo della domanda estera” [ Cipolla, Storia economica…,
p. 73 ].
Con
ciò Cipolla intende in primo luogo i prodotti tessili e dell’
artigianato e solo in secondo luogo quelli agricoli ( soprattutto
olio e vino ). Un grosso colpo venne però inferto alle manifatture e
ai commerci italiani con le guerre d’ Italia
(
tra il 1494 ed il 1538). Con esse: carestie, epidemie, distruzioni
del capitale, interruzione dei traffici. Una ripresa si ebbe nella
seconda metà del ‘500, con la cosiddetta nostra “estate San
Martino”. Ma fu un fuoco di paglia. Per motivi che qui non possiamo
analizzare la manifattura italiana non fu più concorrenziale su
larga scala. Da allora allora furono solo i prodotti di lusso ed i
prodotti agricoli a trainare il nostro commercio estero. Cosa che
contribuì ad accentuare la corsa verso la terra e alla
‘sborghesizzazione’ della nostra società.
Università
( dominanti in Italia: diritto e medicina )
Un
ruolo di primo piano venne svolto anche dalle università, che
sorsero diffusamente soprattutto in Italia, seguendo l’ esempio
bolognese.
Le
università erano associazioni libere, create per lo più dal basso,
che si autogovernavano e trovavano autonomamente le proprie risorse.
Dunque, un fenomeno borghese per eccellenza. Ma presto le città
stesse, ed i sovrani, ne scoprirono l’ importanza, le fondarono e
le foraggiarono.
In
Italia ebbe luogo, a partire da Bologna la rivoluzione giuridica che
riportò alla luce il diritto romano.
Nelle
città italiane si creò una grande committenza per avvocati, giudici
e notai, sia per questioni di diritto civile ( fissazioni e
transazioni di proprietà, competenze, affitti, prestiti,
assicurazioni, esercizio della giustizia ecc. ) che per questioni
pubbliche (consulenza ai comuni, organizzazione delle istituzioni
statali, controversie tra città e regioni, rapporti tra le
corporazioni ecc.).
Ma
non va dimenticato che anche i medici godevano di un alto prestigio.
All’ avanguardia era l’ università di Padova, il primo vero
centro europeo del settore.
Scolarizzazione
e alfabetizzazione [ vedi Cipolla, Istruzione e sviluppo, 1969;
edizione usata, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 53-54 ]
I
primi a sentire il bisogno di alfabetizzazione, di comunicazione e di
pianificazione razionale dell’ amministrazione e dell’ economia
furono i mercanti. Il sapere, il raccontare, il mettere nero su
bianco le informazioni importanti, lo stipulare contratti, il tenere
un diario, erano pane quotidiano per i mercanti, i loro collaboratori
e i loro familiari. Sentivano anche il bisogno di trasmettere il loro
sapere e know how alle generazioni successive.
Firenze
era nel ‘300 la città più alfabetizzata d’ Europa. Circa il 40%
dei ragazzi tra i 5 ed i 14 anni andava a scuola. Un dato
impressionante per il tempo. Allora in città era dato per scontato
che ogni artigiano sapesse leggere e scrivere.
Ma
tante altre città italiane avevano iniziato già nella seconda metà
del ‘200 avevano istituito scuole comunali.
Non
è un caso che la letteratura di gran lunga più prolifica, nei
secoli XII – XVI, di storie e atti comunali, di storie familiari,
di ricordanze personali, si sia prodotta nell’ Italia
Centro-settentrionale.
Beppe
Vandai
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