Schema della RELAZIONE
di Beppe Vandai
per VOLTA LA
CARTA!!
Nella
riunione di Volta La Carta!! del 12 novembre 2014 ho innanzitutto cercato di
chiarire per sommi capi la differenza categoriale tra espressioni come
"espansione/crescita", "stagnazione",
"recessione" e "depressione" da un lato e di espressioni
come "inflazione", "stabilità monetaria",
"inflazione-zero" e "deflazione" dall' altro. Mentre i
termini del primo gruppo riguardano la dinamica del prodotto nazionale
(lordo o netto), quelli del secondo gruppo si riferiscono alla dinamica dei
prezzi delle merci e dei servizi.
Ci
sono però naturalmente dei nessi o incompatibilità tra i fenomeni del primo e
del secondo gruppo. Alcune combinazioni sono impossibili. Ad esempio la
contemporaneità in un' economia nazionale di espansione/crescita e deflazione
monetaria. In altri casi le cose sono invece più complicate: una stagnazione, o
addirittura una recessione, possono coesistere con l'inflazione.
Ad esempio, negli anni '70 del secolo scorso, l'inflazione – causata sia da effetti esterni, come il rincaro del prezzo del petrolio voluto dall' OPEC, che interni (vedi marcati aumenti salariali e adeguamenti automatici di questi in base all' inflazione) – coincise con uno choc recessivo a breve e poi con una lunga fase di stagnazione. Si ebbe quella che allora fu battezzata "stagflazione".
Ad esempio, negli anni '70 del secolo scorso, l'inflazione – causata sia da effetti esterni, come il rincaro del prezzo del petrolio voluto dall' OPEC, che interni (vedi marcati aumenti salariali e adeguamenti automatici di questi in base all' inflazione) – coincise con uno choc recessivo a breve e poi con una lunga fase di stagnazione. Si ebbe quella che allora fu battezzata "stagflazione".
E noi,
come siamo messi in questo periodo? Da almeno due decenni, lasciando da parte i
Paesi in via di nuova industrializzazione, nell' intera area dei Paesi più
industrializzati c' è una tendenza al ristagno delle economie, anche
senza choc particolari. Come hanno fatto rilevare più volte sia Larry Summer
che Paul Krugman, negli ultimi 20 anni le fasi di crescita pronunciata sono
state tutte innescate da bolle finanziarie. In mancanza di queste, le economie
nazionali dei maggiori Paesi crescevano a livelli bassissimi. Al contempo, l'inflazione
è stata per lo più molto contenuta. Un risultato da addebitare in primis
a due fatti: *) alla convergenza delle principali Banche centrali sull'
obiettivo della stabilità monetaria fissato attorno al 2% di rincaro annuo e **
) al processo di globalizzazione che ha spostato produzioni in Paesi a bassi o
bassissimi salari e ha assai frenato la dinamica salariale nei Paesi più
industrializzati.
Un
grande rimescolamento di carte si è però avuto con la crisi globale del 2008
prima, e con la crisi della zona euro dopo. Con grandi sforzi si è impedito che
le economie cadessero prima in una forte recessione e poi in una rovinosa
depressione. Le mosse che hanno impedito il ripetersi delle crisi degli anni
trenta sono state: a ) la garanzia ai risparmiatori sui depositi bancari,
attuata per impedire la corsa agli sportelli, b ) il quasi unisono salvataggio
delle grandi banche (eccezion fatta per Lehman Brothers), c ) il rapido abbassamento
dei tassi d' interesse, d ) l' uso di ammortizzatori sociali per impedire gravi
effetti di povertà, il collasso dei consumi e la distruzione di capacità
produttive. Tutte misure consigliate da Keynes già allo scoppio della
crisi del 1929. Insomma, parte della sua lezione è stata imparata.
Ben
presto si è però capito che sia la Grande Recessione dal 2008 in poi, che la
crisi della zona-euro dal 2010 in poi, avevano scosso dalle fondamenta l'
elemento basilare e più prezioso di ogni economia capitalistica, anzi di ogni
economia complessa: la fiducia reciproca tra gli agenti economici. Ovvio
dunque che in questo caso il nemico più pericoloso fosse la tendenza a chiudere
i cordoni della borsa, a consumare di meno, a non rischiare, a non investire.
Tutte
cose che sempre ed invariabilmente innescano la recessione, cioè la riduzione
della domanda aggregata e del volume totale dei beni prodotti e dei
servizi forniti. In scenari di questo tipo la disoccupazione fa sempre un
bel balzo all’insù ed alimenta, se nulla accade, un ulteriore balzo. E in
tal caso, poi, se le politiche economiche sono sbagliate o mal tarate o troppo
timide, o se nulla si fa, poco alla volta si aprono le porte alla depressione,
che a sua volta, se i governi e la banche centrali continuano a sbagliare, si
cronicizza. Basti pensare che la Grande depressione, iniziata nel 1929, fu
risolta, ancorché in modo non voluto, dall’ espansione dell’ economia di guerra
degli anni 1940/1945. E che il decollo economico si ebbe solo negli anni ’50. Il
fenomeno monetario parallelo a questo complesso macroeconomico è poi la
tendenza alla disinflazione prima, all’ inflazione-zero poi, ed
infine alla deflazione.
Che
fare allora di fronte a questa tendenza spontanea a cadere nella voragine? Quattro
sono le principali scuole di pensiero:
a ) quella
liberista pura suggerisce di non far nulla, perché il libero mercato è
in grado di purificarsi e rigenerarsi da
solo; i liberisti puri consigliano riduzioni dei salari e maggior efficienza
produttiva; sanno anche che il processo di uscita dalla recessione o
depressione può durare anche 20 anni, o di più, ma pensano che sia giusto così;
al massimo lo stato ha da preoccuparsi che i poveri non cadano nella miseria
più bruta;
b )
quella ordo-liberista (soprattutto di marca tedesca) aggiunge allo
scenario appena descritto l’invito agli stati e alle economie nazionali ad
attuare riforme sul lato della domanda, ad esempio riducendo il peso delle spese
per la burocrazia, rendendola più efficiente, garantendo un efficace
funzionamento della giustizia, riducendo il deficit statale ecc.;
c ) quella
monetarista crede che la recessione vada contrastata rapidamente e
vigorosamente fin dall’ inizio; pensa che l’ unico modo conforme e rispettoso
del sistema capitalistico sia di agire con la leva monetaria; il piano di
intervento dovrebbe consistere nel quantitative
easing (qe), cioè nell’acquisto
da parte della Banca centrale di obbligazioni industriali e bancarie, così come
di titoli di stato, immettendo dunque massicce dosi di liquidità con la
speranza di facilitare l’ erogazione di crediti a bassi tassi di interesse alle
famiglie e agli investitori, cosicché acquistino beni di consumo e beni da
capitale; lo scopo ultimo è di diminuire la disoccupazione e di rimettere
l´economia sulla strada della crescita;
d ) la
scuola keynesiana moderna, uscita dalla sintesi operata da economisti
come Samuelson e Modigliani, accetta lo
schema monetarista, ma ne vede i limiti; il suo campione più agguerrito e lungimirante,
Paul Krugman (premio Nobel nel 2008 per i suoi studi sui flussi e le strutture
dei mercati internazionali), sostiene ad esempio, almeno dal 1998, che il quantitative easing, una volta che la
crisi di fiducia sia profonda, fallisce abbastanza rapidamente per via della
cosiddetta “trappola della liquidità”, cioè per la situazione in cui tutti gli
operatori economici (banche, settori produttivi, consumatori), di fronte al
combinato di deflazione e di interessi attivi bassissimi, preferiscono tenersi
liquidi che rischiare; così non danno alcun impulso alla ripresa; per i
keynesiani moderni, alla politica preconizzata dai monetaristi, va perciò aggiunto
l’ intervento dello stato che deve indebitarsi dando stimoli all’ economia (con
un mix di investimenti in infrastrutture, in innovazione e in formazione e di
tagli fiscali); da ultimo, va intrapresa la via di una moderata inflazione (tra
il 3% ed il 4% annuo).
Come si
sono comportati i governi e la banche centrali? Quali ricette hanno attuato?
* ) Il
Giappone è in preda da quasi vent’anni di una serie ininterrotta di recessioni
e stagnazioni. Perciò è anche il caso più studiato. Dapprima non ha fatto
nulla, poi ha avuto una breve fase di sbandamento in cui addirittura la banca
centrale ha aumentato i tassi d’interesse. Solo in seguito il Paese ha
incominciato a dare ascolto ai monetaristi e, molto parzialmente, ai
keynesiani. Ma lo ha fatto troppo timidamente ed in modo contraddittorio: per
prima cosa sono state salvato le banche, piene zeppe di crediti tossici, poi si
è effettuato un QE, ma di volume
troppo ridotto, infine il governo ha aumentato la spesa pubblica, ma in modo
inadeguato. Infine, preso dal panico, ha
abbandonando il QE. Visti gli
insuccessi e l’aumento della spesa pubblica, impauriti dall’ idea che lo yen
perdesse troppo valore, i governi si sono concessi una lunga pausa di
inattività. I due fattori principali che hanno consegnato i giapponesi all’
insuccesso sono stati da un lato il loro orgoglio monetario, cioè la
cocciutaggine nel voler far dello yen una moneta alternativa al dollaro, e
dall’ altro il terrore dell’ inflazione. Così hanno praticato politiche
contraddittorie ed inefficaci e si ritrovano, dopo 18 anni, di nuovo in
recessione.
** ) Gli
USA hanno seguito molto decisamente il programma monetarista; hanno pure fatto
politiche di tipo keynesiano, anche se in misura limitata (a causa della
continua pressione dei Repubblicani che vedono negli interventi statali
elementi inaccettabili di socialismo). I risultati sono nell’ insieme buoni,
per sé e per il resto del mondo. A seguito di un deciso e prolungato QE – che ha portato il bilancio della
Federal Reserve da poco più di 2.000 miliardi di $ a più di 4.500 miliardi di $
– sono entrate in circolo massicce dosi di
liquidità che hanno stimolato gli investimenti in molte aree del mondo. Hanno
dunque anche indirettamente contribuito al forte aumento delle esportazioni
dall’ UE verso il resto del mondo, favorendo di non poco anche l’ export
tedesco.
*** ) L’
Eurozona ha seguito volente o nolente le politiche economiche della scuola
ordo-liberista, insistendo solo sul tasto della politica delle riforme dal lato
dell’ offerta. Ha lasciato che la recessione si diffondesse in ampie zone del
nostro continente, ha anche contribuito al rallentamento dell’ economia
mondiale. Tutti gli aiuti ai Paesi in maggior difficoltà sono stati subordinati
a politiche restrittive. Sotto la guida di Draghi la BCE ha tentato di seguire
politiche simili al QE americano, ma
è sempre stata frenata dalla Germania. Rinuncio a fare un elenco puntuale dell’
opera del trio Merkel-Schäuble-Weidmann per non deprimervi troppo. Noto però che
il vero QE non è ancora stato avviato
e che gli interventi comunitari in infrastrutture sono ancora del tutto incerti.
Concludo rilevando che ancora ieri sera – alla fine dell’ incontro del G20 di
Brisbane , dove sono stati decisi programmi di investimento in infrastrutture per
stimolare la crescita economica, programmi accettati obtorto collo anche dalla Germania – al telegiornale delle 20:00 la
signora Merkel sosteneva in tutta serietà che il vertice era stato un grande
successo perché si erano messe in cantiere misure per mettere al sicuro i
contribuenti dal rischio rappresentato dalle grandi banche.
Alla
fine della mia relazione sottolineavo questo:
i ) L’unico
modo per evitare che l’economia mondiale e quella dell’ eurozona ripiombino in
un vortice recessivo-deflattivo o vi sprofondino ancora di più, e affinché entrino
in un ciclo positivo, è (*) sì di attuare alcune riforme sul lato dell’offerta,
care all’ ordo-liberismo, ma soprattutto (**) di avviare un deciso QE, ben consci che (***) senza ulteriori
misure, il QE si infilerà nella “trappola
della liquidità”. In ultima istanza, sarà dunque decisivo quel surplus di
interventi preconizzati dai moderni keynesiani: a ) un aumento mirato, e non debordante,
della domanda aggregata grazie al debito pubblico, e b ) la strada di un’
inflazione controllata tra il 3% ed il 4%. In soldoni: ha pienamente ragione Paul
Krugman, veggente inascoltato.
ii ) Esprimevo
infine un profondo senso di sconforto verso la politica economica tedesca. Una
politica che tiene in ostaggio tutta l’ Europa, che segue linee chiaramente
egemoniche e che, a mio avviso, se così proseguisse, nell’ arco di poco più di
un anno costringerebbe il nostro Paese a uscire dall’euro. Spero di sbagliarmi,
ma credo che la probabilità che così finisca l’ avventura dell’ euro sia ormai molto
alta. Non vedo in Germania il minimo segno per un serio ripensamento, né nei
media, né nell’ opinione pubblica, tanto meno nella classe politica
(socialdemocratici e verdi inclusi). In ogni caso, ed in vista del peggio, il
nostro Paese deve assolutamente avviare a tappe forzate le necessarie riforme
sul mercato del lavoro, ridurre il carico fiscale alle aziende, procedere allo
snellimento delle procedure della giustizia civile, avviare la riforma della
Pubblica amministrazione e via dicendo. Siccome un simile programma non può che
essere condotto da un governo forte e legittimato, una riforma del sistema
elettorale che favorisca la formazione di un sistema maggioritario-bipartitico
ed il superamento del bicameralismo perfetto sono altrettante condizioni
necessarie. Altrimenti, mai usciremo dalla difficile e pericolosa situazione in
cui ci dibattiamo. Anzi, cresceranno i rischi di sfaldamento del tessuto
sociale e del Paese stesso.
Heidelberg, 17 / 11 / 2014
Beppe Vandai
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