lunedì 1 dicembre 2014

TRACCIA del DISCORSO DI PAUL KRUGMAN


al FORUM DELLA BCE sul CENTRAL BANKING
(cioè sul ruolo delle banche centrali)
      SINTRA 26/27 MAGGIO 2014 –

SCHEDA di BEPPE VANDAI
per
        VOLTA LA CARTA!! e. V. Heidelberg
       


KRUGMAN ha argomentato pressappoco così:


( I )

L’ obiettivo del 2% di inflazione, su cui convergeva e converge il consenso di tutti i banchieri centrali e della maggior parte degli economisti è troppo basso, perché non lascia alle banche centrali abbastanza spazio di manovra per gestire crisi recessive e/o deflattive. È infatti troppo vicino allo zero e conduce troppo facilmente un’ economia al livello in cui cade nella trappola della liquidità.

La zona-zero nei tassi di interesse è infatti assai pericolosa perché blocca il credito. Non c’ è infatti interesse a prestare a tasso zero, o quasi; si preferisce cioè tenersi la liquidità. Se poi si entra in deflazione, anche il semplice tenere il denaro incamerato produce un guadagno, in quanto ne aumenta il valore reale con certezza e senza alcun rischio.

Un’ inflazione controllata a bassi livelli fa parte del Quantitative Easing, che vuole mettere a disposizione del sistema economico crediti a prezzi bassi. Ma se già il livello di inflazione è troppo basso (come nel caso del 2%) il QE di una banca centrale raggiunge presto la soglia zero, o vicina allo zero. Così si entra nella trappola della liquidità.

Forse in fasi precedenti il 2% era un livello giusto, che funzionava, ma da un bel po’ di tempo si arriva sempre più spesso a zero-lower bound (ZLB), cioè a tassi d’ interesse minimi vicini alla soglia zero. Ad esempio: negli ultimi 30 anni ben 7 erano segnati dal ZLB.


( II )


L’ obiettivo del 2% di inflazione ha un altro inconveniente, non permette di far scendere i salari reali, aumentando così per le imprese la produttività del lavoro; cosa che a sua volta innesca la riduzione degli investimenti e genera disoccupazione. Il motivo per cui sarebbe bene aver più inflazione è presto detto: è difficilissimo ottenere riduzioni del salario nominale, cosa spesso auspicabile in fasi di grave recessione. I salari mantengono un alto grado di rigidità presumibilmente per questi due fattori: l’ evidente opposizione dei dipendenti a tagli salariali e la giustificata riluttanza dei datori di lavoro, dovuta al timore che tagli salariali peggiorino l’impegno nel lavoro.


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Se già ci sono forti motivi per auspicare un maggior livello di inflazione, se cioè il livello del 2% va ritenuto inadeguato a far fronte ad una crisi recessiva, allora una politica economica di deleveraging (riduzione delle posizioni debitorie) – una politica effettivamente seguita nella zona-euro – è ancor più criticabile.

Ma non è tutto. Ci sono due dati che ci fanno pensare che la tendenza ad asfittici aumenti o a riduzioni del PIL (cioè una tendenza recessiva) nell’ ultimo decennio non solo sia fortemente aumentata, ma che possa avere radici strutturali.  Infatti,

A ) Già il ciclo economico 2001–2007 (cioè prima dell’ inizio di quella che ormai comunemente chiamiamo “Grande Recessione”) tendeva in maniera endemica alla depressione. Ma anche prima, come ha rilevato Lawrence Summers, la tendenza recessiva veniva `superata’, ovvero mascherata, grazie a bolle speculative.

B ) Il calo demografico nei paesi industriali più sviluppati è un dato certo.

Per questo c’ è da pensare che anche l’interruzione della politica di consolidamento e di austerità, di per sé, non sarà sufficiente a farci ritornare ai livelli di crescita del PIL degli ultimi decenni del XX° secolo. 


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Non si potrà tornare alla relativa tranquillità della fase della Grande Moderazione (metà anni ’80 fino al 2007). Perché? Perché questa fase di bassa volatilità, di bassa inflazione e di crescita costante e a buoni livelli, è stata ‘comperata’ con livelli di indebitamento pubblico insostenibili. Vedi la crescita media annuale del debito pari al 3,9% del PIL. Questo doping (che però non si è tradotto in un sensibile aumento dell’ inflazione) non può continuare. Lo stesso abbandono tattico del deleveraging non potrà più trovare il debito pubblico come ammortizzatore. Perciò il ciclo economico sarà assai fiacco. E una politica economica di puro consolidamento (pur senza deleveraging) comprimerebbe necessariamente i tassi d’ interesse al di sotto dell’amato 2% di inflazione. Perciò si scivolerebbe di nuovo verso lo ZLB!!

Data poi la rigidità salariale, si avrà un combinato di forte disoccupazione e sottooccupazione, che a sua volta spingerà verso una bassissima inflazione o addirittura verso la deflazione. Così la rigidità salariale diverrà ancor più perniciosa. Infatti, in congiunture di zero-inflazione o deflazione, se i salari nominali restano fermi, si ha nel primo caso il mantenimento del loro potere d’ acquisto, nel secondo caso un aumento dello stesso. E così ci si avviterebbe in una spirale depressiva.

Facendo mente locale sulla situazione dell’ eurozona, si può invertire la rotta se e solo se la fase di ‘svalutazione interna’ (leggi: recessione, salari fermi e riaggiustamento della bilancia commerciale) nei paesi della cosiddetta periferia è fiancheggiata da una lunga fase di aumenti salariali e quindi di spinta inflazionistica nei paesi del centro-nocciolo economico della stessa zona economica.

Citazione di Krugman (pag. 11 del paper): “ (…) in an imperfectly integrated concurrency area – one that lacks the fiscal integration and high labor mobility that the traditional theories of optimal currency areas call for – moderate inflation can be a crucial aid to the adjustment mechanism, and low inflation can impose significant losses “.

Paul Krugman è d’ accordo con O. Blanchard che un’ inflazione europea tra il 3% ed il 4% sarebbe una condizione necessaria per uscire dalla trappola in cui l’ eurozona si è cacciata. E dai toni del discorso di Krugman, lui sembra preferire il 4% al 3%.


Heidelberg, 29 / 10 / 2014

Beppe Vandai

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