APPUNTI
SU
“ Le
basi morali di una società arretrata “
di E.
C. BANFIELD, Glencoe Ill. 1958
(Edizioni
italiane presso Il Mulino, Bologna: 1961, 1976 e 2010)
(
Pagine citate dall’ ediz. del 2010, curata da A. Bagnasco )
PREMESSA:
Il
libro di Banfiled è considerato un classico dell’ antropologia
culturale. Un classico parecchio controverso, a dire il vero. Ma
comunque lo si giudichi è uno dei testi che hanno sollevato le
maggiori discussioni tra sociologi, antropologi, politologi ecc… Un
testo che a suo tempo ed almeno fino alla fine degli anni ’70 ha
costretto tanti autori a prendere posizione sulle tesi contenute ,
sul metodo d’ indagine e di lavoro usato, oltre che sulle sue
conclusioni e proposte politiche. Ma ancora oggi è un testo di
studio universitario, proprio per la sua valenza paradigmatica.
Noi lo dovremmo
studiare, non per fare dell’ accademia, ma per trarne il massimo di
profitto nella nostra indagine sull’ Italia, o meglio sul familismo
in Italia.
UNA PRIMA
OSSERVAZIONE:
Anche
per disinnescare il potenziale polemico-politico, ovvero ideologico e
non-scientifico che gli è stato attribuito , direi di fare questa
mossa: CONSIDERARLO COME LA RIFLESSIONE SU UN INCONTRO–SCONTRO TRA
DUE CULTURE, ovvero sull’ impatto che la ‘collisione’ ha avuto
sull’ osservatore, proveniente da una cultura ben diversa da quella
dell’ oggetto di studio.
Basti
leggere con attenzione le due epigrafi che l’ autore ha premesso al
suo lavoro: una frase di Hobbes ed una di Tocqueville.
Da Hobbes
(probabilmente dal Leviatano):
“ In tali condizioni non vi è posto
per l’ industriosità, perché i suoi frutti sono incerti; di
conseguenza non si coltiva la terra, non si naviga, (…) non vi è
edilizia civile (…) non esistono arti né lettere; né
organizzazione sociale; e – ciò che è il peggio di tutto –
prevale un perenne timore e il pericolo di morte violenta, mentre la
vita umana trascorre solitaria, misera, desolata, brutale e breve. “
Da Tocqueville
(probabilmente da La
democrazia in America): “
Nei paesi democratici la scienza dell’ associazione è la scienza
madre, quella dalla quale dipende il progresso di tutte le altre. “
Nella
citazione di Hobbes viene
descritta la condizione di miseria, di abbrutimento e di angoscia in
cui gli uomini sono costretti a vivere se impera la totale anarchia
dello stato di natura. Con quella di Tocqueville
Banfield intende sottolineare il ruolo
fondante della cooperazione sociale per ogni democrazia. La prima
citazione è descrittiva, la seconda è sia descrittiva che
portatrice di un’ istanza normativa.
Ebbene,
tra questi due poli si iscrivono in modo pregnante ed esaustivo i
valori–guida e i criteri normativi che, per Banfield e per la
tradizione in cui si identifica, debbono informare ogni società
democratica moderna.
Detto
in soldoni: la cooperazione
e l’ autogoverno sono
e devono essere i fenomeni fondanti
della società democratica moderna ( vedi op. cit.,
Introduzione, pag. 37 ). Banfiled sa
bene che anche negli U.S.A., come nelle democrazie occidentali più
avanzate, questi due fenomeni non sono facili da realizzare e vuole
studiare quali fattori favoriscono o, al contrario, ostacolano o
addirittura impediscono il loro sviluppo.
INFORMAZIONI SU
E.C.BANFIELD
Brevi
cenni sulla formazione
e gli interessi di Banfield prima di
andare a Montegrano. ( vedi saggio
introduttivo di Arnaldo Bagnasco Ritorno
a Montegrano, pp. 11 – 13 ): l’
autore non si era formato come antropologo ma come politologo. Assai
giovane collaborò con la Farm Security Administration, agenzia del
New Deal roosveltiano a sostegno dei contadini. Inizialmente Banfield
vi si identifica, ed è un convinto sostenitore della
pianificazione. Poco alla volta però, vedendone delle inefficienze,
inizia a dare molto peso al comportamento e alla coscienza di sé che
hanno i contadini.
Studiando
una grande fattoria Casa Grande in Arizona, nota come l’ ostacolo
principale alla pianificazione provenga dalla forte conflittualità
dei contadini, che non sanno cooperare. Ora però Banfield vuole
allargare il campo d’ osservazione. Passa allora ad occuparsi del
caso di una ventina di famiglie di Mormoni a Gunlock, nello Utah. Si
tratta di una comunità fortemente motivata sul piano religioso e
ideologico, costituitasi spontaneamente. La sua domanda è questa:
forse questi contadini poveri, non aiutati dal governo, cooperano
meglio degli altri ? La risposta è negativa. Anche qui il livello di
collaborazione non è molto diverso che a Casa Grande in Arizona.
A
questo punto Banfield si è convinto che né il sostrato
economico-strutturale né il solo apparato ideologico fornito dalla
religione siano sufficienti a spiegare fenomeni di grave arretratezza
sociale. Pensa che esistano specifici fattori, strutturali e
sovrastrutturali, che danno spesso un imprinting negativo all’
ethos contadino, generando così sfilacciamento sociale e
sottosviluppo. Nel frattempo Banfield ha fatto sua la posizione
weberiana, che vede nella cultura, nella visione del mondo e nei
principi normativi, delle condizioni necessarie sia al mantenimento
dello status quo che, all’ opposto, al mutamento.
Orbene,
vuole vedere come stanno le cose in un piccolo paese dell’ Italia
meridionale, molto povero ed isolato, lontano dalle grandi vie di
comunicazione. Forse lo attraeva anche il fatto che si trovasse in un
Paese fortemente cattolico e a civilizzazione antica. Aveva letto
“Cristo si è fermato a Eboli” di C. Levi. Infine, la moglie era
originaria della zona e poteva fare da interprete e mediatrice con
gli indigeni. Così nel 1954 si reca a Montegrano
( pseudonimo di
Chiaromonte, paesino della provincia di Potenza).
IL METODO
Il
metodo di
indagine praticato da Banfield è quello dell’ OSSERVAZIONE
PARTECIPANTE (condivisione di
esperienza sul campo, empatia, ma anche distacco e riflessione //
pratica di un doppio registro). In ciò segue le tracce del metodo
praticato, teorizzato e affermatosi con e da Malinowski. B. vive per
circa 9 mesi a Montegrano (Chiaromonte), osserva, raccoglie dati sul
paese e sui dintorni, fa interviste mirate e via dicendo. E qui
giunge ad elaborare (oppure a trovare la conferma definitiva alla) la
tesi del FAMILISMO AMORALE.
DEFINIZIONE DI ETHOS
Detto
in poche parole: gli abitanti di Montegrano sono portatori di un
ETHOS ESCLUSIVAMENTE ORIENTATO ALLA
FAMIGLIA.
Con
ETHOS intende l’ insieme di COSTUMI,
MODI di PENSIERO e MODELLI-GUIDA,
socialmente e storicamente acquisiti, che pre-dispongono gli
individui ed i gruppi di individui verso un tipo di azione o di
reazione, anziché verso un altro .
Un
ethos è il correlato pratico-operativo di una VISIONE DEL MONDO. Per
Banfield, come per Weber e gran parte dei sociologi e antropologi, l’
ETHOS è e funziona come una SECONDA
NATURA dell’ uomo.
DUE TIPI DI ETHOS
CONTRAPPOSTI
La
COPPIA DI OPPOSTI di questa SECONDA
NATURA UMANA rilevante per Banfield è
questa: -- o ethos orientato alla
famiglia o ethos
orientato alla comunità.
E queste si possono
far risalire a due tipi-ideali di principi pratico-morali:
a ) un utilitarismo
di corto respiro, di corto raggio (
spaziale e temporale ),
b ) un utilitarismo
razionale, di ampio raggio
spazio-temporale, un utilitarismo che Tocqueville chiama “egoismo
illuminato”. Questo autore infatti scrive: “
Io non credo, dopo tutto, che vi sia più egoismo fra noi che in
America, la sola differenza è che là esso è illuminato mentre qui
[ nella Francia di metà ‘800, ndr
] non lo è
affatto. Ogni americano sa sacrificare una parte dei suoi interessi
personali per salvare il resto. Noi invece vogliamo salvare tutto e
spesso tutto va in fumo “. ( Da
Toqueville, La democrazia in America,
parte II, vol. II, pp.139-140 , Bologna 1953 . Citazione riportata in
Banfiled, a pag. 168 dell’ edizione del 2010 ).
* * *
QUADRO DI MONTEGRANO
Ma ora facciamo un
passo indietro. Breve descrizione di Montegrano e della sua struttura
sociale:
- circa 3.400 abitanti nel 1951,
- non c’ è associazionismo ( a parte il ‘circolo’ dei galantuomini e la Chiesa, che però non svolge attività caritative o benefiche sul territorio )
- religiosità: solo poco più del 10% dei montegranesi va a messa la domenica, per lo più donne; gli uomini sono “anticlericali per tradizione” ( forse scettici o agnostici, oppure imbevuti di una religiosità privata e agio-centrica )
- il consiglio comunale ha poteri limitati, si riunisce con difficoltà, speso manca il numero legale,
- forte analfabetismo (soprattutto di ritorno): un terzo degli uomini e due terzi delle donne non avevano concluso le elementari; ancora nel ’51 il 30% degli individui tra i 10 e i 40 anni era analfabeta; nei contadini fuori dal centri abitato: 44%,
- scarsissima presa dei partiti politici, solo al momento delle elezioni c’ è attivismo, soprattutto dei preti; distribuzione di pacchi dono; voto di benevolenza o di scambio?
- alta variabilità delle scelte elettorali tra un paese e l’ altro ( pur con struttura e storia simile ) e nello stesso posto tra una elezione e l’ altra,
- scarsezza di infrastrutture e collegamenti con i centri maggiori; poca o inesistente volontà o capacità di organizzazione per far pressione per ottenerle
- struttura economico-sociale agricola; quasi l’ 80% della popolazione attiva è costituta da contadini, da braccianti o da contadini-bracciati; gli appezzamenti, tranne qualche caso ( alcuni galantuomini ed un nobile ), sono piccoli e danno a malapena da vivere;
per il resto: 10%
di artigiani; 3 o 4 % di piccoli commercianti; circa il 5% di
impiegati o dipendenti pubblici; per il resto: professionisti o
proprietari terrieri,
- agricoltura: piuttosto arcaica, con uso quasi nullo di fertilizzanti, rotazione delle coltivazioni,
- non vi sono fonti di credito commerciale (nessuna banca),
- circa la metà dei braccianti sono nullatenenti, molte case non hanno la luce elettrica,
- 350 famiglie sono nell’ “elenco dei poveri” ( circa un terzo della popolazione) e ricevono gratis le cure mediche e le medicine essenziali; alcuni di loro sono ‘protetti’ di qualche famiglia più abbiente,
- il lavoro manuale è considerato degradante,
- la vita dei contadini è segnata da miseria, malinconia, perfino angoscia; infatti si sentono precari, in balia delle contingenze, del caso, che improvvisamente può diventare avverso,
- i contadini si sentono esclusi dalla civiltà ed ogni chance di riscatto sembra loro illusoria, nemmeno pensabile; si sentono in trappola; qualsiasi sforzo appare inutile,
- in questo contesto, pensano che l’ unica possibilità di miglioramento offerta loro consiste nel miglioramento dello stato sociale dei loro figli; ergo: auto-limitazione demografica e chiusura nella famiglia nucleare,
- per loro la società è necessariamente spaccata in due: da una parte pochi benestanti o ricchi, dall’ altra i poveri; non si pensa nemmeno ad un cambiamento di struttura; che pensano i poveri dei benestanti o ricchi ? Per alcuni si sono messi a posto con un colpo basso, per altri è per i loro meriti che stanno a quel livello sociale superiore;
- non viene nemmeno in mente che ci possa o debba essere maggiore mobilità sociale; l’ unica chance di miglioramento consiste nel sapere afferrare un’ eventuale occasione, ed essere preparati a questa ( ad esempio i figli devono avere un’ istruzione migliore e possibilmente imparare un lavoro),
- nella famiglia nucleare, se ci sono due maschi, il primo viene privilegiato, a lui va la piccola eredità di famiglia, l’ altro deve più o meno arrangiarsi; una preoccupazione sorge con la nascita di una femmina ( perché si devono spendere e accumulare risorse per la dote ); la cosa si ripete se il maschio ‘mette su famiglia’: allenterà i rapporti con la famiglia d’ origine e non avrà quasi risorse per aiutare i genitori; spesso ci sono dissapori tra fratelli per la ‘roba’; anche per questo gli appezzamenti posseduti dalle famiglie contadine sono piccoli.
In due parole:
quella di Montegrano è una società
pauperistica, per lo più di pura
sussistenza, con una struttura sociale
a famiglia atomistica.
Vi regna la paura di cadere al di sotto del mero livello di
sussistenza. Non ci sono vere speranze di ascesa. Ognuno cerca di
difendersi come può. Cooperazione e autogoverno: scarsissimi o
nulli. Al massimo i commercianti fanno credito ai contadini o i
possidenti anticipano derrate o sementi ai contadini nei momenti di
massimo bisogno.
LE CAUSE STRUTTURALI
Per Banfield le
cause, ovvero basi materiali, dell’
ethos operante a Montegrano ( che lui chiamerà familismo amorale)
sono queste:
a ) alta
mortalità ( senso di precarietà nei
confronti delle contingenze e del destino ),
b ) un determinato
assetto fondiario,
c ) l’ inesistenza
della famiglia estesa.
IL CIRCOLO VIZIOSO
Ma
si badi bene, una volta creatosi, un ethos
ha una sua grande forza interna
ed una notevole inerzia.
Influisce cioè tantissimo a limitare o azzerare le chances di
cambiamento dei montegranesi. Cioè la società arretrata si
perpetua, si riproduce tramite l’ habitus mentale e comportamentale
dei suoi componenti. Circolo vizioso.
COME ROMPERLO
Banfield
non vede come possano intervenire radicali mutamenti
economico-strutturali, data la struttura proprietaria e data la poca
attrattività della zona per uno sviluppo di una agricoltura di tipo
capitalistico ed ancor di più per uno sviluppo industriale. La
situazione potrebbe migliorare se e solo se gli abitanti iniziassero
a collaborare tra di loro. Il circolo
vizioso andrebbe rotto a livello dell’ ethos,
ma purtroppo l’ ethos
che si è sviluppato a Montegrano è altamente
negativo.
Nell’ ultimo
capitolo ( cap. IX , intitolato “Il
futuro” ) Banfield avanza una serie
di proposte per uscire dal degrado sociale di Montegrano. Ora non ce
ne occupiamo. Rinvio semplicemente a quel capitolo.
* * *
IL FAMILISMO AMORALE
Occupiamoci
piuttosto della TEORIA DEL FAMILISMO AMORALE, così come Banfield l’
ha sviluppata. La sua analisi si articola in 3 CAPITOLI:
Nel
CAPITOLO QUINTO
( Un’ ipotesi predittiva )
Banfield fornisce dapprima la DEFINIZIONE di FAM. AMORALE e poi un
CATALOGO DI COMPORTAMENTI TIPICI dell’ ETHOS dei familisti amorali.
[ Qui rinvio soprattutto a Alfio Squillaci:
http://lafrusta.homestead.com/rec_banfield.html
Nel CAPITOLO
SESTO ( L’
ethos in pratica ) espone come si
articola, per l’ intero corso della vita e nel quotidiano l’
ethos del familista amorale: un ethos impastato di
diffidenza, di paura,
di chiusura a riccio,
di incapacità progettuale,
dominato dal bisogno e dall’ interesse immediato.
Nel CAPITOLO
SETTIMO ( L’
ethos come principio ) Banfield si
occupa principalmente della religiosità dei montegranesi, una
religiosità povera e legata soprattutto ad un
rapporto utilitaristico con il soprannaturale.
Espone anche quali sono i criteri di
giudizio in base ai quali un
montegranese decide se un’azione è buona o cattiva. Al centro di
tutto sta il bene della famiglia. C’ è un debole
senso della colpa. Dominano l’
utilità immediata ed il particolarismo
sociale o, per meglio dire, a-sociale.
Da quest’ ultimo
capitolo vorrei innanzitutto estrapolare alcune citazioni che
illustrano le coordinate comportamentali che segue un buon
montegranese.
“ La concezione
del giusto e del non giusto che è propria del contadino (…) si
connette in grandissima parte al tema centrale della sua esistenza:
la famiglia che egli si crea. Bontà e malvagità esistono per lui in
rapporto con due tipi di situazione, quella del ‘genitore’ e
quella di ‘estraneo che può danneggiare la famiglia’. “
“ In
riferimento alla prima. La bontà consiste nel lavorare e
sacrificarsi per il bene della famiglia, nel dare ai figli consiglio
e appoggio per metterli sulla buona strada, e nel mantenersi fedele
al proprio coniuge. La fedeltà è di importanza assoluta quando si
tratti di una donna; per gli uomini non è altrettanto importante, ma
neppure cosa da considerarsi secondaria. “
“ In relazione
al secondo ruolo, quello di estraneo che può danneggiare la
famiglia, essere buoni significa non suscitare apprensioni: l’ uomo
buono non tenta di sedurre la moglie o la figlia di un altro uomo,
non ruba, non crea discordia. La donna buona non è invidiosa di ciò
che ha la sua vicina e non fa pettegolezzi. In termini positivi, una
persona è considerata buona se è amabile, bada ai fatti suoi, e
aiuta chi è nel bisogno. “
“ Su chi non
sia né parente né ‘estraneo che può danneggiare la famiglia’
non vengono formulati giudizi di alcun tipo “.
Chiesto un giudizio
su alcuni tipi di crimini, anche gravi, che qualcuno avesse commesso
lontano dal raggio di azione della famiglia, metà dei contadini
interrogati da Banfield rispondevano: “
Non è un delitto”; “ È il suo destino. “ [
pp. 140–141 ].
“ Nella
mentalità dei montegranesi, l’ azione umana appare il risultato di
forze che agiscono sull’ individuo piuttosto che come la
conseguenza di una data motivazione operante dentro di lui. L’
individuo è senza dubbio impulsivo di natura: i suoi istinti lo
rendono incline a cercare il piacere fisico e in generale a essere
indulgente con se stesso. “ [ p. 144
].
“ (…) chi
commette il male deve essere trattato con la massima severità,
perché il biasimo e la punizione contribuiscono a creare quell’
insieme di pressioni senza le quali ciascuno commetterebbe il male.
Colui che viene punito però, non si sente colpevole, ma piuttosto
sfortunato (…) . “ [ p. 146 ].
“ Non sembri
eccessivo affermare che la maggioranza di Montegrano non ha senso
morale, eccetto forse quello richiesto dalla sua devozione alla
famiglia. Se un contadino resiste alla tentazione di agire male, è
per timore della giustizia o di quello che può dire la gente, non
perché lo spingano a comportarsi bene l’ amore di Dio, la
coscienza, o il timore del castigo ultraterreno. (…) Un contadino
dice che bestemmiare è meno grave che rubare, perché ‘Dio
perdona; rubando si può incorrere invece nei rigori della legge, e
la legge non perdona’. “
(… ) per la
maggior parte degli abitanti di Montegrano nulla è sacro: dunque non
riconoscono obblighi né senso di colpa. Uno dei preti di M. dice:
‘La
maggior parte delle nostre popolazioni non si pone neppure il
problema di una possibilità di valutare il loro atto umano: per
questa gente è morale ciò che fa maggiormente comodo, sia in modo
lecito sia in modo illecito, perché non si crede alla vita dello
spirito e all’ aldilà; non si crede ad una sanzione’ .
“
[ pp. 147–148 ].
“ (…) il
desiderio di godere della stima degli altri è un motivo secondario,
non decisivo nella scelta del comportamento. “ [
p. 150 ].
Che esce dal quadro
che Banfiled disegna ? Esistono norme di comportamento, consistenti
in divieti ed imperativi, o consigli, ma il contesto da cui
scaturiscono o trovano il loro fondamento o l’ applicazione è
molto ristretto. La precettistica non ha fondamenti universali, si
misura piuttosto con uno schema semplice di vantaggi e svantaggi al
cui centro funziona come dispositivo dirimente la coppia di opposti:
vantaggio o svantaggio per sé e per la famiglia. Mai si sale ad un
livello di astrazione che comprenda, non dico principi a priori, ma
nemmeno l’ intera società. Se di morale si tratta, nel caso dei
montegranesi, allora, al massimo si tratta di costumi che si sono
affermati, ma resi deboli dal ristretto orizzonte. Infatti, spesso,
si ‘sospende il giudizio’ qualora un male non danneggi
direttamente la famiglia o la comunità.
Le dichiarazioni
dei contadini, le loro risposte ai questionari costruiti da Banfiled,
denotano una scarsissima interiorità, quasi l’ assenza dell’
habitus mentale della riflessione. E questo ovviamente fa il paio con
quanto abbiamo appena osservato. Non solo. Quando sono spinti ad
esprimere giudizi, a rifletterci sopra, nei montegranesi pare
completamente assente il momento dell’ intenzionalità. Orbene,
questo è invece essenziale in qualsiasi sistema etico di una certa
dignità e forza. Lo è per l’ etica kantiana, per quella
cattolica, anche per l’ utilitarismo inglese. Lo è anche per l’
etica greca classica. Per chiamare un’ azione ‘moralmente buona’
non basta che non violi la legge. Non sono le prescrizioni legali,
tutte esterne, da applicare in base a dati di fatto, a determinare il
campo dell’ etica. Né tantomeno lo sono le punizioni previste per
il mancato rispetto del codice di comportamento socialmente fissato.
Il luogo del giudizio etico è prima di tutto il foro interno. Ma,
per la popolazione studiata da Banfield, la morale si basa su un
codice eteronomo, che, nella migliore delle ipotesi, ‘il buono’
rispetta.
Sappiamo che i
termini “morale“ ed “etica“ sono ahimè piuttosto ‘gommosi’,
polisensi. Si prestano infatti ad equivoci, soprattutto in contesti
diversi, ed in base all’ uso fattone da autori diversi. Per questo
accade spesso che, non riuscendo a controllarne l’ uso, in
discussioni, si finisca di parlare di oggetti differenti, credendo di
averne afferrato uno solo. Da qui equivoci o sofismi a non finire.
Quando riflettono sull’ uso dei termini “bene”, “male”,
“giusto”, “ingiusto”, “morale”, “delitto”, i
montegranesi mostrano di occuparsi dei costumi
che la loro comunità o il loro
orizzonte di vita sanciscono come positivi o negativi. I costumi
hanno una loro validità obiettiva, anche se per di più, i
montegranesi spesso tendono a indebolirla, a relativizzarla. Mai
questi costumi hanno però una fondazione universale, indipendente
dal loro orizzonte locale, sia essa una fondazione divina, oppure
antropologica, o utilitaristica o di tipo aprioristico-razionale.
Nel dire questo non sostengo che solo chi ha riflettuto su queste
alternative o ha una conoscenza teorica dei principi ispiratori della
morale possa agire in modo etico. Basta il sentore, comunque
interiorizzato, di avere a che fare con principi inconcussi ed
universali, perché si entri nell’ ambito dell’ etica in senso
pieno e forte.
Se l’ abitudine,
l’ adeguamento a comportamenti tramandati, una certa efficace
stabilità di costumi di una compagine sociale bastano a costituire
un ETHOS, non è detto che siano adeguati al minimo che l’ ETICA
richiede. Ecco perché Banfield non cade in contraddizione
attribuendo ai montegranesi un ethos, ma affermando che il loro ethos
è amorale. Il loro ethos non soddisfa infatti i requisiti minimi che
l’ agire etico – così come è concepito nel pensiero occidentale
– impone.
Detto
questo, vorrei ora soffermarmi su due punti della teoria di Banfield:
la scelta terminologica (familismo amorale) e la definizione che lui
ci offre dello stesso.
La
definizione suona così: “
Massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia
nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo
“ ( pag. 101 ).
- Così come è
concepito si tratta di UNA PRINCIPIO SOGGETTIVO CHE DEVE ORIENTARE O
DETERMINARE L’ AZIONE. È cioè di carattere prescrittivo-normativo
( non è un
principio cognitivo che faccia da premessa per un sistema di
conoscenze ).
- Ha il carattere di
un orientamento universale. E gli è immanente un universalità
doppia:
a
) è una regola che un individuo deve applicare sempre, una regola
cioè che genera ripetizione e disposizioni pratico-mentali ); b )
vale per tutti o, meglio, è attribuita de facto a tutti.
- Così come è
presentata, non è frutto di una scelta consapevole tra una serie di
opzioni differenti.
- La norma è di
tipo non formale, né astratto ed é di tipo utilitaristico.
- Il contenuto della
prescrizione è invece di tipo particolaristico ( l’ inverso della
concezione kantiana, manzoniana o anche utilitaristica dell’ etica
).
Ergo:
la massima dell’ ethos montegranese è per
se ANTI-ETICA. Mi sembra dunque
azzeccata la scelta terminologica di Banfield.
È
appropriato chiamare con il termine “familismo”
un ethos in cui vengono messi al primo posto, sempre e ed
esclusivamente, la famiglia e i suoi membri, a fronte di una natura
ed un ambiente ostili, da cui provengono solo minacce e da cui
bisogna difendersi.
Ma
anche l’ aggettivo “amorale”
calza bene. Se proprio vogliamo, a essere ancora più precisi, si
dovrebbe parlare di familismo antimorale ( non nel senso che propugni
comportamenti contrari alla pubblica morale o il disprezzo
nichilistico verso la morale ), ma nel senso che compromette le basi
dell’ etica, così come è concepita nel nostro universo culturale.
Infatti qui abbiamo a che fare con un utilitarismo immediato, di
corto respiro che
a ) “uccide” l’
universalità di
ogni vera norma morale,
b ) compromette, al
di fuori della famiglia, il senso della reciprocità
paritaria o equa,
c ) blocca la
capacità di progetto, la proiezione
verso il futuro, lo sviluppo di comportamenti razionali, inquadrati
in un orizzonte temporale ampio.
Ancora,
il familismo amorale compromette sia l’ etica
privata ( norme morali ad alta
universalità, comunque fondate, che tocchino le azioni a corto
raggio o le relazioni diadiche ) che l’ etica
pubblica ( dotazione di norme e
motivazioni per interazioni sociali, anche ampie, positive per tutti
).
* * *
UN RAFFRONTO
Vorrei
concludere queste mie annotazioni mettendo a confronto un esempio di
ethos non-amorale ( o forse morale ? ), che Banfield stesso porta nel
corso del libro, ed il familismo amorale dei montegranesi.
A
pag. 154 – 156 di Le basi morali…
Banfield sposta il focus delle sue
riflessioni sul familismo tipico delle campagne del Nord Italia. Cita
l’esempio del rovighese per porre l’ attenzione sulla diversa
struttura sociale e sul diverso
ethos nelle campagne della pianura
padana. Lì, da secoli, i contadini
hanno vissuto in cascine medie o grandi, in cui abitano più famiglie
imparentate fra loro (quasi sempre famiglie numerose). Sono
coltivatori proprietari o lavorano come mezzadri. Sono abituati alla
cooperazione, non sono così angosciati dalla paura delle carestie.
Hanno sviluppato un ethos della
collaborazione, dell’ aiuto reciproco, dell’ altruismo.
Tipica della campagna padana è dunque quella che Banfield chiama
“famiglia estesa”
( o “allargata”).
Ciò
significa che il familismo non è
necessariamente amorale. Solo in certe
condizioni, e sotto certi condizionamenti, ha una connotazione
amorale o anti-morale o anti-civica.
TRE DOMANDE PER
CONCLUDERE:
a ) Quali sono la
portata e
la diffusione del familismo amorale in
Italia, pur nelle sue gradazioni e
specificità regionali ?
b ) Questo fenomeno,
con le dinamiche etico-sociali e istituzionali che gli sono proprie,
ha avuto o ha anche radici diverse da
quelle esposte ed analizzate da Bansfield
( pauperismo, precarietà, paura, isolamento culturale ecc. ) ?
Se così fosse non ci sarebbe un rapporto biunivoco tra quel tipo
particolare di struttura sociale ed il familismo amorale. [ Tra l’
altro Banfield è accorto e non sostiene affatto che il familismo
amorale valga per tutto il Meridione, né che ci sia un rapporto
biunivoco tra quella struttura e quell’ ethos ].
c ) Si può
affermare che l’ ethos ‘padano’
sia un familismo morale
e che sia community oriented ?
Se ci sono, quali sono i suoi limiti ? Ancora, comunque esso sia,
esiste ancora tale e quale come 50 o 60 anni fa ? I mutamenti di vita
e sociale degli ultimi decenni hanno fortemente investito l’
istituzione famiglia. Si può ancora parlare di familismo ? Non è
per caso che si sia avuto un suo sfilacciamento,
con una conseguente perdita di un ethos community
oriented ? E che impatto ha oggi la
famiglia, o ha la sua crisi, sulla società e sulle istituzioni ?
Beppe Vandai Heidelberg, 25 / 10 / 2012
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