È
utile occuparsi del caso francese usando lo schema dei sette stadi di
sviluppo della borghesia. [ Vedi PRIMO ALLEGATO alla mia mail del 22
/ 03 / 2013 “La borghesia in generale” ]. I due stadi di
rilievo sono il 4°
ed il 6°.
Ciò
che vorremmo capire – nella variante
francese – è
* ) la
formazione della borghesia sia come fenomeno sociale e politico che
come compagine interna all’ Ancien Règime e al terzo stato, come
testa del
terzo stato;
** )
la dialettica tra i ceti e tra questi ed il potere centrale regio;
*** )
l’ inizio della formazione di una borghesia nazionale [da
collocare però a pieno titolo solo nel ‘700, ma già prima della
Rivoluzione Francese]. [ Nota bene: scopriremo che in Francia
sussistevano fin dai primordi della monarchia, in piena epoca
feudale, i germi di un controllo periferico della regalità, così
come meccanismi e istituzioni passibili di sviluppi verso lo stato
burocratizzato e la formazione di una monarchia costituzionale].
Borghesia
nazionale e Stato centralizzato sono in Francia due
poli di un’ unica dinamica. Lo Stato
centralizzato è la levatrice della borghesia nazionale, così come
la borghesia nazionale fornirà la spina dorsale della burocrazia
statale e della società civile. Del resto società civile e stato
assoluto ma non tirannico, cioè politicamente e giuridicamente
limitato, sono due fenomeni coevi e simbiotici.
In
prima battuta la borghesia francese si farà ‘corrompere’, ovvero
integrare nell’ Ancien Règime. Lo storico Fernand Braudel parlerà
infatti di “tradimento della borghesia”. Ma il processo non si
concluse affatto con questa prima battuta d’ arresto. La tesi di
Braudel va per di più relativizzata. Anche dopo che la borghesia del
sapere si fece cooptare nella nobiltà, il peso economico e sociale
della borghesia francese non diminuì. Non solo. La nuova nobiltà,
la noblesse de robe,
non rinunciò a concepire la monarchia come una monarchia basata sul
consenso. Non si può affatto affermare che in Francia si ebbe una
ricaduta in un regime di tipo feudale. Al contrario la monarchia si
avviò ad essere in maniera crescente uno stato
burocratico-amministrativo. La via verso la modernità rimase aperta.
* * *
La
Francia, così come la conosciamo, venne a configurarsi in un lungo
lasso di tempo. La zona iniziale andava da Parigi a Orleans ( Île de
France). Con grandi difficoltà i sovrani Capetingi (regnanti dalla
fine del ‘900 al primo trentennio del 1300 ) riuscirono ad imporsi
ai grandi feudatari, da sempre gelosi del loro potere regionale o
addirittura intenzionati a spodestare il regnante di turno.
Dal
1337 al 1453 il regno di Francia è alle prese con un conflitto
estenuante con l’ Inghilterra ( Guerra dei cento anni ) innescato
dalle pretese di dominio dei sovrani inglesi sull’ Aquitania, la
Normandia e l’ Anjou, in seguito ad un’ oculata politica
matrimoniale. Alla fine gli inglesi debbono lasciare il territorio
francese. Buona parte del territorio francese è infine sotto il
dominio di Parigi, sede del reame.
Mancano
però ancora ‘all’ appello’ vasti territori che noi oggi
attribuiremmo ovviamente alla Francia. Solo nel la seconda metà del
‘400 [ regnanti Carlo VII, Luigi XI e Carlo VIII ] vengono annesse
Provenza, Borgogna, Anjou e Bretagna.
Nella
seconda metà del ‘400 il regno si stabilizza anche dal punto di
vista istituzionale, ma con questa particolarità: passati i maggiori
pericoli ed euforizzati dalle annessioni, i re accentuano la
centralizzazione e la componente autoritaria del governo. Poca o
nulla è la ricerca del consenso. Non convocano più gli Stati
generali. I parlamenti regionali [ 7 , fino alla fine del ‘400,
compreso quello di Parigi ] sono interpellati dal re il meno
possibile. Lo stato tende a rafforzarsi e burocratizzarsi. Nel 1467:
viene decisa la perpetuità degli uffici
regi.
* * *
Due
parole sulle due maggiori istituzioni nelle quali si concretava la
funzione di controllo, di contrappeso, e che a volte divennero un
vero e proprio contropotere alla supremazia del sovrano: i
PARLAMENTI REGIONALI e gli STATI GENERALI.
I
PARLAMENTI erano delle CAMERE DI
GIUSTIZIA. In esse i giudici, inizialmente solo di origine nobiliare,
giudicavano in prima istanza i sudditi appartenenti al loro stesso
ceto, sia in cause civili che penali. Fungevano invece come corti d’
appello per chi apparteneva al terzo stato. A partire dal ‘500 i
giudici furono sempre più dei borghesi che avevano compiuto studi
giuridici universitari. Da allora la componente borghese divenne
dominante e si creò una sorta di casta da quando le cariche
divennero dapprima acquistabili e poi anche ereditarie.
Un’
altra FUNZIONE dei parlamenti era DI ORDINE LEGISLATIVO. Non si pensi
che emanassero leggi. No, i parlamenti avevano la funzione di
esaminare, ratificare o respingere le leggi avanzate dal sovrano.
Infatti, per avere validità nella regione di competenza di un dato
parlamento, gli editti e le ordinanze reali dovevano essere approvati
dal parlamento stesso, che li registrava su un registro ufficiale. Il
parlamento poteva però avanzare obiezioni argomentate ( sulla base
del diritto anteriore o dei privilegi e dei costumi regionali ) e
rinviare la legge al re, annullandone la validità. Il sovrano poteva
cedere oppure insistere. Per insistere ed imporsi doveva recarsi in
parlamento, revocandogli per quella particolare questione la delega
giuridica. Così la sua legge passava.
Il
clero fu escluso dai parlamenti a partire dal 1319.
Il
ruolo dei parlamenti fu ridotto via via che il potere reale aumentò:
con Luigi XIII e soprattutto con Luigi XIV, che costrinse i
parlamenti all’ obbligo di ratifica. Fece ciò vista l’
esperienza della Fronda (1648-53), dopo che il parlamento di Parigi,
seguendo l’ esempio inglese, aveva reclamato a sé il diritto di
controllare in ultima istanza le finanze del regno.
I
parlamenti riprenderanno però vigore dopo la morte del Re Sole.
Luigi XV cercherà di imporsi come il suo predecessore. Luigi XVI
dovrà invece scendere sempre di più a patti con i parlamenti, che
negli anni ottanta del ‘700 avranno un ruolo importante nell’
agitazione prerivoluzionaria. La Rivoluzione li sciolse (1790) nel
quadro del riordino dei poteri statali.
GLI
STATI GENERALI altro non erano che la
riunione dei rappresentanti dei tre ceti ( l’ ecclesiastico, il
nobiliare e il terzo stato ). I rappresentanti, rispettivamente 300
per ogni ceto, venivano eletti in assemblee regionali, che si
tenevano distintamente per ceto. Una volta formate le tre
delegazioni, queste si riunivano, di nuovo separatamente nell’ambito
del consesso. Ogni delegazione cetuale esprimeva infine il proprio
parere con un unico pronunciamento per ceto.
In
che materia i ceti venivano consultati ? Sostanzialmente: *) per
gravi questioni militari o di politica estera, **) in occasione di
gravi crisi politiche interne (ad esempio durante le guerre di
religione) e ***) in merito a questioni fiscali (nuove tasse da
imporre alla nazione).
A
convocarli era il re, sempre per una contingenza eccezionale, e
sempre quando era in difficoltà particolari (la più frequente,
quella di ‘batter cassa’) e abbisognava di un vasto consenso nel
Paese. Era in quei momenti che si ricordava che la sua autorità si
basava in definitiva su un accordo con il suo popolo. Dapprincipio si
trattò di coinvolgere il ceto feudale. Poi, soprattutto nel ‘500,
si accrebbe di molto il peso del terzo stato.
Vale
la pena ricordare l’ occasione in cui vennero istituiti gli stati
generali. Fu nel 1302, quando Filippo IV, il Bello, quello dello
‘schiaffo di Anagni’, convocò la nazione per farsi legittimare
nel rifiuto della bolla papale Ausculta
fili, emessa da Bonifacio VIII. Bolla
con cui il Papa invitava Filippo a non impedire che una buona parte
delle entrate fiscali del clero finisse a Roma e a non interferire
più nell’ investitura dei vescovi. Bonifacio lo invitava inoltre a
Roma per un sinodo di riconciliazione. Filippo ottenne il consenso
degli Stati Generali nel respingere e bruciare la bolla.
I
due periodi in cui gli Stati Generali vennero riuniti più di
frequente furono la Guerra dei Cent’anni e le guerre di religione.
Non furono invece più convocati dal 1614 al 1789, nella fase
‘eroica’ dell’ assolutismo in Francia.
Entrambe
le istituzioni testimoniano che la Francia possedeva due organi
deputati al consenso ben radicati nella tradizione politica e
giuridica del regno, che in alcune fasi funsero da contrappeso al
potere centrale. La loro stessa esistenza era la prova che la
monarchia doveva essere qualcosa di diverso dalla tirannide. A questa
tradizione di consenso e di controllo, elargito dall’ alto, ma nel
contempo spettante di diritto all’ insieme del popolo francese, si
rifecero spesso i nobili, i giuristi, le “bonnes villes“. Spesso
i nobili pensavano soprattutto ai loro privilegi o volevano
indebolire il potere regio. Questo non oscura però il fatto che poco
alla volta il terzo stato prese coscienza dei suoi diritti e del suo
ruolo. Non da ultimo si spiega come poté sorgere in Francia una
forte borghesia nazionale e furono poste le premesse per la
Rivoluzione del 1789.
* * *
Le
guerre d’ Italia, volute da Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I°,
segnarono l’ avvio della politica di espansione e di potenza del
regno di Francia. Nel corso di circa un cinquantennio, dalla fine del
‘400 alla metà del ‘500, infersero gravissimi danni al nostro
Paese e dimostrarono che l’ Italia era un territorio in balia delle
forze straniere. Non portarono però vantaggi alla Francia, a causa
della potenza spagnola. Anzi, a ben guardare, furono un vero e
proprio boomerang per i loro iniziatori. Costarono al regno enormi
risorse ed un enorme indebitamento. A pagare il conto furono
soprattutto le campagne ed il terzo stato cittadino. Ma anche i
regnanti si troveranno indeboliti e dovranno sempre di più ricorrere
al consenso della nobiltà feudale e alla forza economica del terzo
stato.
Una
conseguenza di prima grandezza fu questa: con l’ EDITTO
DI MOULINS (del 1566) re Carlo IX (un
figlio di Caterina de Medici) decise che d’ ora in poi le terre
del demanio della corona sarebbero
state date non più in appannaggio feudale, ma date in affido solo
per denaro,
al miglior offerente. Allo stesso modo, le cariche
pubbliche (quelle dei funzionari regi
deputati alla giustizia, al governo delle regioni, all’
amministrazione del regno, alle finanze, alle infrastrutture ecc.)
sarebbero state date in appannaggio al miglior offerente. Era l’
inizio della pratica della venalità
delle cariche. Da notare: queste cariche erano già da un secolo
divenute vitalizie.
La
venalità delle cariche pubbliche giovò molto alle casse statali, ma
cambiò anche la natura della burocrazia francese. Ora era la
borghesia cittadina a fornire gran parte dei quadri dell’ apparato
statale, un apparato del resto in grande espansione, che verso il
1580 contava già 80.000 funzionari pubblici (officiers). Si trattava
per lo più di figli di commercianti, di banchieri, di artigiani
benestanti, che avevano frequentato l’ università. La cui facoltà
regina, giurisprudenza, offriva la competenza necessaria per le
posizioni più ambite.
La
borghesia del sapere, spesso di prima generazione, ancora attaccata
al cordone ombelicale della borghesia cittadina del denaro, ampliava
dunque i suoi ranghi ed allargava allo stato la sua sfera di
influenza.
Ma la
cosa non finisce qui. Sotto il regno di Enrico III si compì un
ulteriore passo. Gli uffici acquistati divennero ereditari o
alienabili, ma ad una condizione: potevano esserlo purché il
passaggio avvenisse almeno 40 giorni prima che il titolare morisse.
Altrimenti ritornavano in possesso del re. Questa limitazione
costituiva un grosso elemento di insicurezza. Da un lato rendeva più
difficile la discrezionalità nel disporre del diritto che si era
acquisito. Dall’ altro rendeva meno stabile, e dunque meno forte,
il legame tra il titolare – e la sua famiglia – e lo stato.
A
questo si ovviò nel 1604 – per iniziativa di Enrico IV – con l’
EDITTO DI PAULET, con il quale si decretava l’
ereditarietà illimitata delle cariche pubbliche.
Ma questo privilegio non era gratis. Si istituiva una tassa annuale,
detta paulette,
da onorare all’ erario statale.
Si
ponevano così le premesse affinché si costituisse una forte casta
di funzionari, legati a doppio filo al regno, di origine borghese, ma
sempre più vogliosi di essere equiparati alla nobiltà. La borghesia
del sapere era sì la parte più compatta e consapevole del Terzo
Stato, lo guidava, ma tendeva a staccarvisi il più possibile.
L’
assimilazione alla nobiltà era possibile per il fatto che, dopo tre
generazioni, il re poteva rendere nobili le famiglie di questi
funzionari regi. Nasceva così la noblesse
de robe (nobiltà di toga) che andava
ad affiancare la nobiltà di spada. Non solo. La nobiltà di toga si
rivolgeva sempre più alla proprietà terriera. Si compì appunto,
poco alla volta, “ il tradimento della borghesia”.
Va
comunque detto che questo processo cambiò notevolmente la natura
stessa della nobiltà, che perse nel suo insieme poco alla volta i
connotati feudali. Risultò svuotata del suo ruolo originario che
consisteva nell’ amministrare autonomamente la giustizia sul
proprio territorio, di elevare dazi, pedaggi e tasse, e di garantire
l’ ordine. Restavano alla nobiltà molti privilegi, ma quelle
funzioni erano ormai gestite dall’ apparato statale.
Nel
‘500 emerse un altro grave problema per la monarchia e per lo
stato: la RIFORMA PROTESTANTE. In Francia vi aderirono dapprima
parecchi nobili del Sud della Francia, ma presto fu la borghesia
delle città ( sia la borghesia del sapere che del denaro ) a
dimostrarsi particolarmente sensibile al calvinismo. Le campagne e i
non-borghesi del terzo stato ( cioè i lavoratori manuali ) rimasero
fedeli al Cattolicesimo.
Dall’
inizio degli anni venti a metà degli anni cinquanta l’ espansione
della nuova fede non fu contrastata. Le cose cambiarono però
rapidamente. Le guerre di religione cominciarono a divampare con i
tratti di ferocia ed efferatezza tipici delle guerre civili. Nel
corso di un secolo ( fino alla metà del ‘600 ) se ne contarono ben
otto. I Protestanti erano una ristretta minoranza della popolazione
(circa il 5%), ma una parte ‘di peso’: più qualificata, più
istruita, più attiva della media, per di più già ben inserita
nell’ apparato statale. Il problema era dunque gravissimo, sia per
l’ intera società che per lo stato.
Occupiamoci
ora soprattutto di questo secondo aspetto. Non solo si andavano
sviluppando dissidi insanabili nell’ apparato statale, ma veniva
meno l’ ovvio ruolo della religione cattolica come legittimazione
dello stato stesso, e parimenti il ruolo di fiancheggiamento svolto
dal clero gallicano ( il grosso del clero cattolico francese ). Si
apriva dunque una crisi fondamentale dello stato in quanto tale,
visto cioè nell’ adempimento delle sue due massime funzioni:
garantire la pace interna e la giustizia. Su ciò esisteva già dal
Medioevo un consenso unanime.
Ora,
data la pluralità delle fedi religiose, il ruolo dello stato,
affinché questo potesse continuare a svolgere i suoi compiti base,
andava ridefinito … e rinegoziato. Ben presto si capì che lo stato
doveva slegare le sue sorti sempre di più da quelle delle
confessioni. Sarebbe sopravvissuto solo diventando neutrale,
accentuando la sua terzietà. Da qui poi anche un grande impulso alla
secolarizzazione della società e della cultura. Il processo fu lungo
e contorto, con forti battute d’ arresto – basti pensare alla
ri-cattolicizzazione forzata, promossa dal Luigi XIV e all’
abrogazione dell’ Editto di Nantes, statuita nel 1695 – ma si
dimostrò irreversibile. E proprio la borghesia, quale testa
del Terzo Stato si identificò sempre
più nel processo di secolarizzazione.
Ovviamente
fu nella teoria politica e giuridica che il nuovo fu compreso per
primo. La teoria si libra infatti in una sfera che la affranca dai
ceppi della realtà contingente e può compiere importanti
anticipazioni. In Francia l’ opera più nota e più influente fu
quella di Jean Bodin, che in Les six
livres de la République (usciti nel
1576, quattro anni dopo il massacro della notte di san Bartolomeo)
elaborò la teoria della monarchia assoluta, secondo la quale il re
non è sottoposto a nessun’ altra istanza, è cioè l’ unico
detentore della sovranità. Il re rappresenta lo stato nella sua
interezza e deve mantenersi neutrale rispetto alle classi e alle
parti politiche o religiose. Per rafforzare il potere regio Bodin era
fautore della monarchia ereditaria.
Non
possiamo però ridurre tutto a Bodin. Il dibattito fu ben più
variegato ed acceso. Per ragioni di praticità possiamo raggruppare
le principali varianti delle teorie e dei programmi politici in
queste quattro posizioni:
I ) Il
sovrano deve sottomettersi al consenso degli stati generali o dei
parlamenti. La sovranità è condizionata e limitata. I parlamenti
devono avere l’ ultima parola. [ Teoria caldeggiata soprattutto dai
protestanti, dai cosiddetti mécontants,
ma, regnante Enrico IV, tatticamente anche da cattolici estremisti e
da grandi famiglie feudali ].
II )
Il sovrano è il detentore di un potere illimitato e arbitrario ( rex
e legibus solutus ). Può quindi anche essere un tiranno. Questa più
che una teoria sostenuta esplicitamente era l’ obiettivo polemico
degli antimachiavellici. [Teoria rinfacciata dai mécontents
ai sovrani della casa dei Valois, ai cattolici più radicali e a
Caterina de Medici].
III )
Il sovrano è fornito da Dio della funzione di un potere assoluto,
quindi non può essere vincolato dagli Stati Generali o dai
parlamenti. È però soggetto alle leggi divine e al diritto di
natura. [ Teoria della Lega Cattolica e dei gesuiti ].
IV )
Il sovrano, investito da Dio della funzione di comando, non detiene
però un potere arbitrario e illimitato. È infatti :
a )
soggetto alle leggi divine, al diritto di natura e alle leggi
fondamentali del regno [ legge salica e inalienabilità del demanio
della corona ] ma anche:
b )
limitato nel suo potere dal necessario consenso popolare. Il re è la
massima e unica istanza a cui il popolo si affida e deve perciò
rispettare i costumi fondamentali dei franchi, ma quel che gli viene
delegato è niente meno che la sovranità assoluta. Le leggi del
sovrano dovevano dunque essere ratificate dai parlamenti o dagli
Stati generali secondo una procedura che però lasciava al sovrano l’
ultima parola. [ Posizione di Jean Bodin, Pasquier ecc. I giuristi di
questa corrente di pensiero sottolineavano che la loro posizione
conciliava in modo ottimale il diritto franco e quello romano e
garantiva la neutralità confessionale dello stato ].
Non
si può affatto dire che tutti i re seguissero un’ unica linea. Si
mossero per lo più tra la terza e la quarta posizione, condizionati
dagli eventi. Ad esempio Carlo IX (regnante: 1560–74) si fece
influenzare dal partito cattolico-estremista e dalla madre Caterina
de Medici e lasciò che si usasse la mano forte. Nella notte tra il
23 e 24 agosto 1572, a Parigi, i cattolici intransigenti massacrarono
migliaia di calvinisti.
Il
fratello e successore di Carlo, Enrico III (regnante: 1574–89) ,
temendo che la Lega cattolica, guidata da Enrico di Guisa, prendesse
definitivamente il sopravvento e non volendo che la monarchia,
facendosi partigiana, rinunciasse al consenso dell’ intero Paese,
fece assassinare il Guisa nel dicembre del 1588. Questa decisione,
pochi mesi dopo, gli costò la vita.
Con
la sua morte, la dinastia dei Valois si esaurì e si aprì una grave
crisi. Il legittimo successore avrebbe dovuto essere – secondo la
legge salica (una delle leggi fondamentali del regno) – Enrico di
Navarra. Ma questi era calvinista. La Francia e la sua classe
dirigente si trovarono di fronte un dilemma: seguire il vincolo della
religione di stato (cattolica) e far salire al trono un cattolico non
imparentato con la dinastia dei Valois o seguire la legge salica,
accettando Enrico di Navarra ? Optando per il primo corno del dilemma
si sarebbe lesa la tradizionale legittimazione religiosa del regno,
optando invece per il secondo si sarebbe data legittimità al
calvinismo e lo stato avrebbe dovuto allentare i legami
confessionali, avviarsi verso la secolarizzazione. I più erano per
rispettare la legge salica. Enrico era di fatto re di Francia, ma non
poteva fregiarsi che del titolo di Enrico III di Navarra. In questa
fase si rafforzò di molto la posizione IV (quella dei politiques e
degli zélateurs), ma i conflitti rimanevano profondi.
Enrico
era certo che il paese non si sarebbe pacificato. Nel 1594 si
convertì al cattolicesimo. E poté salire al trono come Enrico IV di
Francia. La conversione fu guardata con sospetto dai cattolici
estremisti, così come la sua politica di pacificazione. Un momento
memorabile nella storia francese fu l’ emanazione dell’ editto di
Nantes ( 1598 ) con cui si garantiva la libertà di religione. I
cattolici intransigenti non digerirono la cosa. Nel 1610 Enrico IV fu
assassinato da un fanatico cattolico.
I
suoi successori, Luigi XIII (1610–1643) e Luigi XIV (1643–1715)
perseguirono una politica radicalmente antiprotestante, togliendo ai
calvinisti le zone franche in cui potevano autogovernarsi. Si ebbero
numerose rivolte e assedi di città, il più noto a La Rochelle. I
calvinisti dovettero in gran parte abbandonare il paese, fuggendo per
lo più in Olanda, in Inghilterra e in Germania. Nel 1695 fu revocato
l’ Editto di Nantes. Luigi XIV perseguì anche una radicale
politica di normalizzazione anche nelle file cattoliche,
appoggiandosi sui gesuiti. Si pose l’ obiettivo di sradicare il
giansenismo. Nel 1709 fece evacuare il convento di Port Royal, il
centro del giansenismo. L’ anno successivo Port Royal fu raso al
suolo. Nel 1713 fece applicare in tutto il regno la bolla papale
Unigenitus Dei Filius (condanna
del giansenismo quale dottrina eretica).
I due Luigi che dominarono la Francia
per più di un secolo seguivano la posizione III del nostro schema.
Non si deve però credere che avessero estirpato ogni forma di
opposizione. Tra gli intellettuali e nelle file della borghesia del
sapere il ricordo della repressione antiprotestante e antigiansenista
non si spense e, sotto la cenere, covò il bisogno di uno stato
laico, neutrale e secolarizzato. Le repressioni e l’ intolleranza
furono l’ humus della tolleranza e spiegano anche la radicalità, e
pure la particola carica antireligiosa, teista e atea, di gran parte
dell’ illuminismo settecentesco in Francia.
Un ultimo aspetto
della storia francese mi pare infine degno di nota: i momenti di
rivolta prettamente politica contro il monarca che si susseguirono in
fasi in cui quando questi imponeva la sola potenza dell’
assolutismo regio. I tre più rimarchevoli furono:
a ) La Guerra del
Bene Pubblico (1465 ): rivolta vittoriosa dei parlamenti e dei ceti
contro Luigi XI. Il re si comportava in un modo ritenuto sempre più
tirannico. Sciolse la più alta corte di giustizia. Impose forti
tasse senza il consenso dei Parlamenti o degli Stati Generali. Abolì
numerosi appannaggi. I grandi feudatari si ribellarono alleandosi al
terzo stato, particolarmente oberato dalla tassazione. Il re dovette
recedere.
b ) La Fronda
parlamentare e nobiliare ( 1648 – 1653 ). Il Parlamento di Parigi
si ribellò al cardinale Mazzarino, primo ministro della reggente di
Luigi XIV. Dapprima la ribellione fu di natura fiscale: l’
opposizione a forti tasse non sottoposte al consenso degli Stati
Generali né del Parlamento. L’ obiettivo dei frondisti divenne
però presto un altro: la rinegoziazione dei poteri dello stato. Il
potere regale andava limitato. La monarchia avrebbe dovuto avviarsi a
diventare di tipo parlamentare. Scoppiò un conflitto militare. Lo
scontro si intrecciò a questioni di politica estera. Mazzarino, dopo
una serie di sconfitte, ebbe però la meglio.
c ) Attorno al 1720:
Reazione parlamentare. Il Parlamento di Parigi si attribuisce il
ruolo di mediazione tra il re e la nazione (sua doppia responsabilità
). Non essendo più stati convocati gli stati generali, il Parlamento
di Parigi si considerava la “voce del popolo“. Rivendicava il
ruolo di libera consulenza, così come
il diritto di registrazione ovvero di rifiuto delle leggi proposte
dal re. Le leggi forzatamente
registrate non sarebbero state più valide. Si voleva mantenere un
riconoscimento formale del monopolio legislativo del re, ma crebbe
il bisogno, l’ esigenza di una monarchia controllata e limitata
nelle sue competenze. Re Luigi XV riuscì però a imporsi.
* * *
BIBLIOGRAFIA DI
RIFERIMENTO:
Histoire
de la bourgeosie en France des origines aux temps modernes,
di Régine PERNOUD, Parigi 1960
Venalità
e machiavellismo in Francia ( 1572 – 1610 ), all’ origine della
mentalità politica borghese,
di Salvo MASTELLONE, Firenze 1972
Politica,
governo e istituzioni nell’ Europa moderna,
di Angela DE BENEDICTIS,
Bologna
2001
* * *
Heidelberg,
21 / 04 / 2013
Beppe
Vandai
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