A
N N O T A Z I O N I
tratte
da “Wege in die
Moderne”,
di Klaus GARBER,
Berlin 2012.
Teil
II Absolutismus und Konfessionalisierung
– Kulturpolitik und Literatur. Zum Ursprung der neueren deutschen
Dichtung.
Kap.
2.3 Im Zentrum der Macht. Martin Opitz
im Paris Richelieus ( Seiten 183 –
222 ).
Garber
sottolinea a pag. 184 la differenza sostanziale
tra la
politica cattolico-gallicana di Richelieu, che assedia La Rochelle e
combatte gli Ugonotti, ma resta fedele alla politica di Enrico IV,
tesa alla salvaguardia della neutralità dello Stato e alla
pacificazione/tolleranza religiosa,
e la
politica di Luigi XIV che porterà alla revoca dell’ Editto di
Nantes e alla persecuzione/espulsione degli Ugonotti.
Un
anno decisivo ( un anno di svolta ) nella politica di Richelieu fu il
1630. Conclusa vittoriosamente la battaglia interna contro gli
Ugonotti intransigenti, R. sposta l’ accento del suo lavoro alla
politica estera. In mente ha il braccio di ferro con gli Asburgo.
Infatti media tra polacchi e svedesi e fa sì che i contendenti
sottoscrivano l’armistizio. Pertanto gli svedesi furono più liberi
di intervenire nella guerra dei trent’ anni tra le fila dei
protestanti, e ovviamente contro gli Asburgo.
I due
massimi centri in Francia su cui la borghesia del sapere esercitava a
quel tempo il suo potere erano i Parlamenti, soprattutto quello di
Parigi, e il “Kreis der Puteaner” ( il massimo centro del
tardo-umanesimo in Francia ).
L´accesso
ai Parlamenti era possibile solo all’ alta borghesia o alla Nobiltà
di Toga. L’ influsso del P. era dovuto agli istituti della
REGISTRAZIONE e al DIRITTO DI RIMOSTRANZA delle leggi proposte dal
Sovrano. A caratterizzare quell’ alta borghesia erano l’
erudizione in generale ed il possesso esclusivo del sapere
politico-giuridico ( entrambe eccellenze di grandissimo peso e
conquistate con il merito e non per trasmissione biologica ).
La
grande borghesia francese si orientò ben presto all’ acquisto di
uffici pubblici e di terre e volle entrare nei ranghi del secondo
stato.
Per la
nobiltà di spada la cosa era scandalosa. La base del privilegio
nobiliare doveva restare una sola: la disponibilità a versare il
sangue e la discendenza da coloro che istituirono e difesero il
regime monarchico-aristocratico. Già un inaccettabile colpo basso
era stata la perdita del privilegio a detenere gli uffici dello stato
e la competenza ad esercitare la giustizia. Che questi istituti
fossero venduti era inaccettabile. Che infine si concedesse la
nobiltà ai borghesi che se li erano comperati era poi il massimo
della provocazione.
Garber
cita il Discours d’ un Gentil-Homme
François à la Noblesse de France (
1614 ), scritto in occasione della convocazione degli Stati Generali
a Blois dello stesso anno [ gli ultimi prima della rivoluzione
francese ].
In
quegli Stati generali asperrimo fu lo scontro tra l’ alta borghesia
di toga (B.deRobe) e Noblesse d’ epée. La prima non meriterebbe
ancora quel nome, visto che apparteneva ancora al Terzo Stato ( anzi,
ne era la guida ). Fatto sta che, la noblesse d’ epée invocò l’
abolizione della Paulette, mentre l’ altra borghesia l’abolizione
di tante pensioni e appannaggi della nobiltà fannullona.
La
prima cercava anche di giustificare la richiesta con la lentezza e l’
alto costo dell’ esercizio della giustizia.
Il
rapporto tra monarchia e Noblesse de Robe è centrale per capire l’
Ancien Régime in Francia. I due poli si sostengono a vicenda. La NR
serve al potere centrale per indebolire e tenere a bada l’antica
aristocrazia, per ficcare e prevenire le spinte centrifughe e
rafforzare quelle centripete. Il potere centrale è necessario alla
NR per legittimarsi e stabilizzare la propria influenza sull’
intera società.
La
corrente dei POLITIQUES ( da J. Bodin a L’ Hôpital ) rappresenta
il punto d’ incontro e offre la teoria per il connubio tra re e NR.
Il nocciolo della teoria: la neutralità dello Stato. Ciò non
significa però che la NR avesse rinunciato a qualsiasi opera di
critica e qualche volta di contrapposizione al re. Di assoluto
rilievo fu anche l’ influsso del NEOSTOICISMO sulla ideologia dei
Politiques.
Un
forte punto d’ appoggio per il monarca fu il GALLICANESIMO. Il
cuore di questa teoria:
la
monarchia francese è legittimata direttamente dal diritto divino.
Ergo: sono esclusi sia il diritto di resistenza o di rivolta ( come
sostenuto dai Calvinisti ) che la supremazia spirituale del Papato.
Da pp.
196 – 197 si evince che nel 1562 un Editto promulgato da Caterina
de Medici e da Carlo IX apriva il varco ad una politica di tolleranza
religiosa e al pluralismo cristiano in Francia.
* * *
A
N N O T A Z I O N I
tratte
da “Bürgertum oder
Bürgertümer ? Die französische Entwicklung vom Ende des Ancien
Règime zum frühen 19. Jahrhundert ”,
di JEAN MEYER
(
traduzione di Wolfgang Mager ) – Bielefeld 1991 –
Secondo il grande medievista francese Marc Bloch
(nello scritto L’ Ètrange défaite,
del 1946: una riflessione sulle cause
profonde della disfatta francese nella seconda guerra mondiale, in
cui cercò di scovare le debolezze sistemiche del suo Paese) i
quattro criteri distintivi della borghesia furono, nella storia di
lunga durata: Agiatezza, istruzione, ruolo dirigente nazionale
(politico, culturale, nel linguaggio e nei costumi), prestigio di
fronte all’ intera società.
Circa il primo punto: Per il breve periodo,
certezza di non avere problemi di cibo, Per il medio periodo,
possesso adeguato di abiti, Per il lungo periodo possesso di
una abitazione. Fino alla fine
del settecento, a parte la nobiltà ed il clero, solo la media e alta
borghesia si vedevano garantite sotto tutte e tre i punti di vista.
Per loro, il rischio di declassamento e la perdita di queste
tre sicurezze o almeno di una di esse, era praticamente escluso.
Solo
nel 19º secolo anche la piccola borghesia si senti garantita sotto
entrambi i primi punti di vista. Il motivo principale consistette nel
calo dei prezzi dei tessuti di cotone. Almeno fino alla fine del
settecento il vestiario fu un grande status
symbol, segno di agiatezza e della
propria posizione, fianco della professione. Già dall’ inizio del
‘500 la borghesia del sapere si distingueva portando abiti lunghi (
quindi cari ) e gesticolava in modo assai ridotto, sottolineando così
il proprio senso del decoro e di superiorità. Anche l' 800 fu
assai impregnato di questi rituali. In quel secolo un simbolo di
stato della borghesia fu l’ avere un pianoforte in casa.
Da tempi immemori e fino al XIX secolo la
fonte più rilevante e sicura di reddito fu la rendita fondiaria, che
fu appannaggio in modo massiccio anche della borghesia. Un'altra voce
importante era la decima ecclesiastica che nell’ A.R. in gran parte
era stata feudalizzata. La abolizione del feudalesimo, di tutti
diritti feudali, decretata con la Rivoluzione Francese, ( incluse le
fonti di tante rendite parassitarie ) colpi ampiamente non solo
la nobiltà, ma anche la borghesia. La quale però ebbe modo di
rifarsi con il massiccio acquisto, a prezzi interessanti, del demanio
nazionale. Già durante l'antico regime in
ampie zone, dove era diffusa la pratica della grande affittanza, i
grandi fittavoli avevano già impostato un uso della terra di tipo
capitalistico. I proprietari dei fondi erano nobili o borghesi che
avevano puntato sulla terra. Mentre costoro ebbero difficoltà con
l'abolizione dei diritti feudali, i fittavoli non furono
assolutamente danneggiati. A livello di proprietà ci fu un grande
rimescolamento di carte. La nobiltà perdette gran parte dei suoi
possedimenti, che finirono nelle mani della borghesia cittadina,
soprattutto parigina. Spesso fecero la parte del leone gli
speculatori immobiliari e i fornitori dell' esercito.
Durante
l'antico regime la borghesia ricavava reddito anche dal possesso
degli uffici pubblici e dagli interessi che producevano i titoli di
stato. Ovviamente, con l’ abolizione di tutti i privilegi feudali e
regali voluta dai rivoluzionari del 1789, i beni posseduti con
l'acquisto degli uffici pubblici non potevano più produrre dei
redditi. Poteva però essere riconosciuto il valore del capitale
investito nell'acquisto. Valore che fu registrato nel Grande libro
dei Debiti dello Stato. Nell'esercito francese molti ufficiali
rimasero in possesso di posti acquistati. Chiaramente però i posti
che via via si liberavano non furono rinnovati. Dal 1789 qualsiasi
ufficio pubblico veniva “messo a concorso” dallo Stato.
Facciamo
ora un passo indietro nel 1664 per vedere di che entità erano i beni
ammassati dai borghesi con la venalità degli uffici. Colbert contò
48.780 Uffici pubblici per un valore totale di 417.630.000 lire. Una
cifra ragguardevolissima tenendo conto che le entrate statali in quel
periodo ammontavano a 100 milioni di livre l'anno. Il grande
ministro tentò di abolire la venalità degli uffici, ma non ci
riuscì per via del continuo fabbisogno statale di entrate per la
sostenere le guerre. Gli riuscì invece un’ importante manovra che
portò alla riduzione del valore reale del capitale investito, ad una
sorta di calmiere.
In
più, già dai primi anni della regno di Luigi XIV venne fissata
come rendita annuale il 4,5% del capitale investito. Rendita che però
aumentò percentualmente con il deprezzamento del valore reale del
capitale. Per porre rimedio a questo inconveniente per lo Stato venne
introdotta una tassazione sulle rendite di questi uffici. Solamente
gli uffici che appartenevano all'entourage della Casa reale ne erano
esclusi. L'opposizione dei Parlamenti non si fece attendere. Questo
problema fu anzi uno dei principali a coagulare la resistenza della
borghesia, ovvero della nobiltà di toga. Alla fine dell’
Ancien Régime il valore degli uffici acquistati, annotato nel libro
dei debiti pubblici, ammontava a circa mezzo miliardo di livres, a
fronte di un valore totale delle monete d'oro e argento circolanti
nel paese pari a circa due miliardi e mezzo.
Con
la grande inflazione degli anni 1793 - 1796 il valore reale di quei
beni diminuì fortemente. In quegli anni vennero però risarcite in
parte quelle sostanze. I risarcimenti furono subito reinvestiti, dai
loro detentori, in beni immobiliari. Non pochi tra i detentori
degli uffici pubblici acquistati ebbero grandi difficoltà
finanziarie. Ci fu chi onorò i debiti contratti nel frattempo e chi
invece non li onorò. Sin dall'inizio dell'800 ci fu una corsa
alle rendite immobiliari e all'acquisto di titoli di Stato. Finché
Napoleone Bonaparte assicurò ai francesi e allo Stato grandi entrate
con le vittorie militari, non si posero problemi. Con il tracollo
dell'impero napoleonico lo Stato si trovò in grandissime difficoltà,
non potendo onorare i propri impegni.
Quando
la situazione si ristabilizzò, con la restaurazione e la monarchia
di luglio, la borghesia francese riprese a investire massicciamente
nei titoli di Stato. Ancora un'annotazione sul peso di
Parigi nell'ambito dell'acquisto degli uffici pubblici: a metà
seicento un terzo dei capitali immessi nell'acquisto degli uffici
proveniva dalla capitale.
Occupiamoci
ora della grande borghesia del denaro
in senso eminente, cioè imprenditoriale e finanziaria. Si trattava
quasi esclusivamente di grandi commercianti e di armatori cresciuti
con l’ espansione coloniale, fortemente voluta soprattutto da Luigi
XIV. Con lo slancio verso le Americhe si accumularono grandi fortune
con il commercio di beni coloniali, con la pirateria, con il
trasporto di quei beni, con il commercio degli schiavi africani, con
le piantagioni delle Antille, e via dicendo. Dalla seconda metà del
‘600 fino alla Rivoluzione Francese l’ Ovest della Francia, con
ala testa le città portuali, fiorì grandemente. Alcuni nomi di
grandi commercianti o armatori: attorno al 1720 il patrimonio di
Dayncan de l’ Epine ammontava a 20 milioni di lire, quello delle
famiglie Boutellier e Drouin, rispettivamente a 5 milioni. I commerci
di articoli coloniali si estendevano per questi grandi commercianti
anche verso l’ Europa settentrionale, raggiungendo, attraverso
Amsterdam e Amburgo il Baltico, la Polonia e la Russia. Enorme fu il
commercio del cotone coltivato nelle Americhe, un articolo che si
prestava benissimo al decollo della rivoluzione industriale. Ma l’
occasione sostanzialmente non fu colta dalla Francia e dalla sua
borghesia del denaro.
I
suoi destini cambiarono poi bruscamente con la Riv. Fr. e la politica
napoleonica. Allora, la politica estera francese spostò l’ asse
verso l’ Europa, cioè a Est. Questa fu la grande occasione di
tanti homines novi, con i piedi piantati originariamente nella media
borghesia di Parigi e della Francia orientale. Le commesse di stato,
per l’ esercito in primissimo luogo, ma anche la costruzione di
nuove infrastrutture, fecero la loro fortuna. La politica militare
francese era anche assai più interessata al carbone, al ferro e ai
giacimenti minerari che ai commerci d’ Oltreoceano.
Giunta
infine l’ epoca della Restaurazione fu la volta della grande
industria cotoniera, insediatasi soprattutto in Normandia e nell’
Alsazia, e della prima siderurgia. Tutti settori ben difesi, in
Francia come altrove, da misure protezionistiche.
Ma
come stanno le cose con la finanza ? Se fino alla vigila della RV
erano dominanti la componente legata alle fortune coloniali, che
prestava alo Stato ingentissime somme, e quella che aveva avuto in
appalto dallo Stato la raccolta delle entrate erariali, con e dopo la
RV, entrambe persero di peso o sparirono. Lo Stato burocratizzò l’
amministrazione finanziaria. I grandi patrimoni finanziari ben
foraggiati dai legami con l’ Oltremare si trovarono dalla parte dei
perdenti. Non solo non furono più il centro e cardine dei commerci,
ma si ritrovarono a non poter avere più le mani in pasta nel
commercio degli schiavi.
I
grandi finanzieri “occidentali” ebbero un ruolo di primo piano
nella crisi che portò alla caduta di Luigi XVI. Rifiutandosi di
rifinanziare un Stato tecnicamente fallito, costrinsero il re a
convocare gli Sati Generali, mossa che gli fu fatale e da cui prese
l’ abbrivio la RV. Ma la scelta di quei grani finanzieri non fu per
loro felice. La RV li danneggiò. Si trovarono ad essere
perseguitati. Tanti lasciarono la Francia per seguire all’ estero i
loro commerci.
Le
nuove leve dei finanzieri provennero dalla nuova media borghesia e da
famiglie ebree molto ‘europeizzate’. Il nome di maggior spicco:
il ramo parigino dei Rotschild. Questi inaugurarono un nuovo tipo di
combinato capitalistico-commerciale-finanziario che non disdegnava
nessun genere di attività lucrativa e differenziava al massimo lo
spettro d’ azione, e quindi diminuiva i rischi. Si stimò che alla
fine della Restaurazione il patrimonio dei Rotschild parigini
ammontasse a 35 milioni di franchi.
Ma
quale era lo stato, in questa fase, grazie alla fiammata napoleonica,
ma anche una volta che questa si era esaurita, dell’ industria e
dei commerci in Francia ? Si può forse dire che la Francia si
ripiegò molto su se stessa. Si costituì per la prima volta un vero
mercato nazionale. Le nuove infrastrutture lo permisero. Non solo. La
unificazione dei pesi e delle misure, l’ abolizione di tutti i dazi
interni ne furono la premessa necessaria. La manifattura francese si
occupò quasi esclusivamente del mercato interno, anche perché ben
protetta dai dazi imposti alale merci estere. I punti di forza nell’
industria, come dicevamo: il settore tessile ( soprattutto cotoniero
) e quello metallurgico. Per tutto l’ ‘800 ci fu espansione
economica e sviluppo capitalistico, anche se in misura ben inferiore
a quello inglese, belga o prussiano.
Meyer
cerca a questo punto di far luce, per quanto possibile, mancando dati
sicuri, e per via un po’ induttiva, sull’ entità quantitativa
della borghesia nel suo complesso e del suo peso specifico in
Francia.
A
ridosso della RV, quando i francesi erano circa 28 milioni, i
borghesi erano circa il 25% della popolazione, ovvero circa 7 milioni
di individui appartenenti a vario titolo alla borghesia. Per
detrazione: né i nobili, né i contadini né il clero. Detto in modo
positivo: tutta la piccola borghesia cittadina (compresi gli
artigiani, gli esercenti, ed altri che in qualche modo esercitavano
un lavoro manuale, ma da autonomi ) tutta la borghesia del sapere e
la borghesia del denaro media e grande.
Nel
1791, anno della prime elezioni repubblicane, dei 7 milioni di maschi
che per età (almeno 25 anni) avrebbero in teoria potuto essere
elettori, in quanto cittadini, 2,5 milioni erano esclusi per una
clausola censitaria piuttosto bassa ( pagamento annuo di tasse pari
ad almeno 3 giornate lavorative ). Da ciò si desume che circa 18
milioni di francesi non vivessero attorno al mero livello di
sussistenza.
La
costituzione appena approvata prevedeva un sistema elettorale
indiretto. La grande massa degli elettori attivi (i 4,5 milioni
rimasti dalla prima scrematura censitaria ) eleggeva in prima istanza
i veri elettori dei deputati. Alla cerchia di questi elettori eletti
potevano appartenere solo quanti pagavano tasse annue pari ad almeno
10 giornate lavorative. Si trattava di circa 50.000 maschi. Si deve
dunque dedurre che al ‘nocciolo duro’ della borghesia del denaro
e del sapere, cioè lo strato più benestante, che godeva del maggior
prestigio sociale e del potere economico, apparteneva, includendo i
familiari ( moltiplicando per il coefficiente 4 ) circa lo 0,7% della
popolazione francese. Nel 1814, per le elezioni che dovevano decidere
della nuova carta costituzionale, la cerchia di cui stiamo parlando
ammontava a 72.000 maschi. Ergo: circa 290.000 borghesi decisamente
benestanti.
Per
entrare nella cerchia degli eleggibili al parlamento era necessario
un reddito tassato per il valore di almeno 100 giornate lavorative.
Qui siamo dunque alla crème delle crème dalla società borghese.
Non
è azzardato parlare di esclusione della piccola e media borghesia,
per non parlare dei ceti popolari ( in senso contemporaneo ), dalla
gestione del potere. La cosa ebbe contraccolpi durante la RV, ma
anche nel 1848.
J.
Meyer osserva che la borghesia francese, o meglio, a suo dire, le
borghesie francesi, avessero conosciuto, dall’ Ancien Règime fino
all’ ‘800 inoltrato, grosso modo questa parabola: ascesa dalla
piccola e media borghesia commerciale e imprenditoriale,
arricchimento, posizionamento sotto le ali dello Stato in cerca di
rendite sicure da questo erogate, investimento in terre ed in
immobili, ricerca di protezione statale mediante una politica
economica mercantilistica, decadimento se lo Stato non poteva più
onorare gli impegni presi o doveva cambiare l’ assetto della sua
politica economica, spesso in base a mutamenti strategici nella
politica estera. A questo punto, altri emergevano per seguire lo
stesso tipo di parabola. Secondo Jean Meyer avveniva che gli elementi
che nel passato furono innovatori dal punto di vista economico o
istituzionale divenissero conservatori. Spesso la borghesia meglio
situata, più benestante, meglio dotata di mezzi, si ritrovava ad
assumere posizioni retrograde e inibenti. Restava il fatto che sempre
la borghesia francese guardava in primo luogo allo Stato, al potere
centrale. Nulla a che fare con la borghesia inglese, fortemente
liberale e liberista.
Meyer
osserva infine ( en passant ) come, nell’ ‘800, nonostante gli
sforzi avviati già da Napoleone per dotare la Francia di un moderno
sistema universitario e di promuovere la ricerca ed il progresso
delle scienze, mai la borghesia del sapere francese ebbe lo stesso
impatto e lo stesso livello di prestigio, lo stesso livello direttivo
per la nazione come la Bildungsbürgertum tedesca. Non da ultimo, fa
notare Meyer, ciò era imputabile alla diversa struttura demografica
e geopolitica all’ interno dei due Paesi. Centralistica e
Parigi-dipendente la Francia, policentrica, con una rete di vivaci
città di medie dimensioni la Germania. Anche lo sviluppo della rete
dei trasporti fu opposto. E non per caso. Infatti, posti di fronte al
rinnovamento o alla costituzione della rete infrastrutturale, in
Francia si formarono ad un certo momento del 19. Secolo due scuole di
pensiero. Gli urbanisti, gli ingegneri e i funzionari alle
infrastrutture presero posizione per un sistema di connessioni a
rete, i politici e i militari per un sistema a raggiera, con al
centro Parigi. Questo, in primo luogo, per motivi
strategico-militari. I tecnici ebbero la peggio.
* * *
[ NOTA
MIA: Meyer pone grosso modo queste distinzioni all’ interno della
borghesia:
la
borghesia-della-rendita, la borghesia economica (
imprenditrice-capitalistica e quella finanziaria ); in altri passaggi
distingue tra piccola borghesia e borghesia medio-grande. Questo
autore tende a ‘sfrangiare’ la tela della compagine borghese per
seguire la ‘fenomenologia’ di questa classe, che nelle sue mani
tende a presentarsi come un aggregato di classi differenti. È più
utile questo o parlare di un’ unica borghesia del denaro ?
Pare
di capire che la borghesia imprenditoriale di tipo capitalistico si
sviluppò in Francia in modo considerevole solo con la metà del’
‘800.
Meyer
rileva anche il gap culturale, di prestigio e di potere tra il ceto
burocratico prussiano-tedesco e quello francese ]
* * *
A N
N O T A Z I O N I T R A T T E
da
Early
Moderne France ( 1560 – 1715 ) 2° Edition
di Robin BRIGGS
Oxford
University Press 1998
Capitolo
2 : Economy and Society.
La
popolazione francese tra il 1560 ed il 1715 si aggirava attorno ai 20
milioni di abitanti, con andamento sinusuoidale e differenze di
crescita e decrescita tra regione e regione.
L’
economia e la popolazione ebbero una fase di crescita dalla metà del
‘400, ma verso la fine del ‘500 il processo si bloccò. La
successiva stabilità demografica, connessa ad un lungo periodo di
stagnazione economica che contrassegno tutto il ‘600, fu possibile
mediante un contenimento delle nascite nei momenti favorevoli e
mediante il ripopolamento nelle fasi di carestia e pestilenza. Gran
parte della popolazione delle campagne era costantemente a rischio di
sopravvivenza, viveva vicino ai limiti della sussistenza e bastava
poco perché scendesse sotto quel limite. Nelle combinazioni di
carestia ed epidemia si poteva anche verificare una moria del 20%
degli abitanti delle regioni colpite. Anche se in altre regioni c’
erano riserve alimentari, spesso non erano disponibili per via della
distanze e delal carenze di infrastrutture adeguate. Gravi crisi si
contarono in questi anni: 1596–7, 1630-1, 1661-2, 1693-4, 1709-10.
L’
agricoltura in Francia era affetta da un problema: pochi erano gli
investimenti produttivi tecnicamente avanzati e l’ afflusso di
capitali per aumentarne la redditività. A parte le parcelle di terra
in mano direttamente ai contadini, quasi mai di grandi dimensioni, la
terra fu oggetto dell’ interesse della rendita parassitaria. Ciò
avveniva soprattutto perché la borghesia cittadina (per lo più i
mercanti e gli artigiani benestanti ) e la borghesia del sapere (
poi, in buona parte NdeR ) volevano darsi sicurezza e ulteriori
entrate investendo nella terra. Risultati: stagnazione, scarsa
presenza dell’ impresa agricola di tipo capitalistico, contadini
sempre a rischio di crisi di sopravvivenza.
Parte
della terra dei contadini ‘scivolava’ poi nelle mani dei
contadini più ricchi, dei borghesi cittadini, e pure dei nobili, per
essersi indebitati con questi nei momenti del bisogno. Non si ebbe
comunque un fenomeno di espropriazione, proletarizzazione e
pauperizzazione pari a quello inglese.
In
ogni caso, in Francia, esisteva ed era a disposizione di possibili
investitori borghesi un vasto mercato della terra, di facile accesso.
Altrettanto facile era la chance di ottenere buone rendite
‘parassitarie’, o quanto meno non innovative, né di tipo
capitalistico. Le forme tradizionali di produzione rimasero intatte.
Le due
produzioni più diffuse, e rilevanti per la sussistenza della
popolazione contadina, sia per l’ autosussistenza che per la
commercializzazione erano la coltivazione cerealicola e la produzione
vinicola.
Forte,
anzi crescente, soprattutto nel ‘600 la pressione fiscale sulle
campagne. A questa si aggiungeva, per i contadini, la pressione del
ceto nobiliare ( ora anche della NdeR ) e del ceto borghese (
cittadino ) sulla produzione e l’ erosione della propria quota a
disposizione.
Quasi
inesistente la mobilità sociale per i contadini, così come la
mobilità geografica
(
emigrazione interna al Paese ). Il loro orizzonte era il villaggio o
il circondario. Questo era il loro baluardo difensivo, il luogo del
mutuo soccorso, della cooperazione, dove spendere la fiducia. Ma
anche il luogo su cui contare per difendersi dalla spoliazione
mediante le decime, i livelli e le rendite che pesavano annualmente
sul loro lavoro. Il tasso di imposizione della decime si aggirava
veramente attorno al 10%. Ci fu nel corso del ‘600 un incremento
abbastanza contenuto, un incremento tra il 10% ed il 20% di quello
stesso tasso.
A
questo fardello però si aggiungeva la tassazione centrale, sempre
più pesante, particolarmente nei periodi bellici, allora assai
frequenti. Si calcola che verso al fien del ‘600 la tassazione
superasse ogni livello di tollerabilità per un importo pari al 5% /
10% del “PIL“.
Conseguenza;
depressione agraria, pauperismo; solo i contadini ricchi riuscivano a
‘ salvarsi dal gorgo ‘.
Tra il
1600 ed il 1715 il Paese langue in una grande stagnazione economica,
che colpiva soprattutto i contadini, ma scontentava anche i signori
della terra ( nobili di origine feudale, NdeR, borghesi che hanno
investito in terre ). Mentre il ‘500 fu nell’ insieme, per la
Francia, un secolo di crescita economica e di ascesa sociale e di
grande espansione delle élites, di grande ascesa della borghesia, il
“lungo“ ‘600 conobbe la stagnazione economica e il
rallentamento delle mobilità sociale verso l’alto. A tal fine
aumentò il potere discrezionale dello Stato, nel distribuire cariche
e privilegi, così come il ruolo delle clientele. Pure il peso delle
politiche matrimoniale si accrebbe. In generale era quasi impossibile
incrementare il proprio patrimonio. Ne andava piuttosto della sua
difesa. Le sole eccezioni: i grandi commercianti, i finanzieri e l’
alta nobiltà.
In
generale emergono sempre di più e con sempre maggior chiarezza i
limiti dell’ Ancien Règime.
Situazione
nelle città o a ridosso di queste:
Le
città erano allora in Francia per loro natura parassitarie e
dipendenti dalla campagna, dalla produzione e formazione di ricchezza
agricola. La manifattura e l’ artigianato occupavano meno del 10%
della popolazione.
Tra
gli artigiani notevole era lo scarto in termini di reddito e di
prestigio tra i maestri e i loro Gesellen. Però nessun artigiano era
veramente ricco. Solo i grandi mercanti lo erano. Erano anche loro
che ‘comandavano’ la manifattura e l’ artigianato, che
anticipavano i capitali, che trovavano le materie prime, che
allocavano i prodotti.
I
piccoli commercianti, giù giù fino ai bottegai e ai piccoli
esercenti, vivacchiavano, combinando spesso questa con altre
attività.
I
mercanti ricchi o medio-ricchi non avevano grandi ( o per niente )
aspirazioni di tipo capitalistico. Non amavano quel ipo di rischio,
preferendo la rendita sicura: terreni, altri beni immobili, uffici
pubblici da comperare.
Solo
la grande borghesia mercantile e quella finanziaria facevano
eccezione. Dove le si trovava ? Nelle importanti città portuali e in
centri come Bordeaux e Lione. Le famiglie di questa grande borghesia
del denaro restarono fedeli alle loro attività.
Non è
azzardato parlare di una vera e propria OSSIFICAZIONE DELLE ELITES
nel “lungo“ ‘600 ( dall’ inizio del secolo al 1715 ) ed
oltre. Si trattò di una chiusura verso il basso.
Restavano
solo due vie per entrare nelle élites ed arricchirsi: a ) ottenere
l’ appalto dell’ erario per una determinata regione o diventarne
il tesoriere dello Stato, b ) rivestire questi ruoli per la grande
nobiltà laica ( vecchia e nuova ) o ecclesiastica.
La
società di ‘funzionava’ e pensava all’ interno di coordinate
mentali a noi poco comprendibili. Statica era la visione della
società nel suo complesso, conservatore lo sguardo sul proprio ruolo
sociale. Una volta raggiunto un rango alto o intermedio, prevaleva la
volontà di metterlo in mostra, di abbarbicarvisi. Era un’ epoca in
cui il senso dell’ onore era altissimo, a tutti i livelli. Un
onore, ben inteso, consistente soprattutto nel distinguersi verso il
basso e nel farsi riconoscere dall’ alto stando nel proprio rango.
Nel ‘
600 l’ ascesa verso l’ alta borghesia ristagnò. Del resto la
NdeR era divenuta molto conservatrice, frenava, conservava, si
opponeva ad ogni proliferazione degli uffici, cosa invece gradita e
in parecchie fasi necessaria al potere centrale. La NdeR cercava solo
di proseguire la propria scalata alle posizioni e agli uffici più
alti e di maggior prestigio.
Il
concetto di ORDINE impediva che sorgesse e potesse ‘funzionare’
il concetto di classe. Anche un artigiano che disponesse di pochi
mezzi e di un minimo patrimonio si sentiva parte del 10% privilegiato
della nazione. Ciò non significava però che avesse un senso di
appartenenza di classe, con tanto di richieste e di aspirazioni.
Pensava comunque in modo statico. Sapeva di fare parte del Terzo
Stato e di distinguersi dai contadini, dai servitori, dai salariati
ecc.
Il TS
era un crogiolo di tante categorie e ceti assai differenti sia dal
punto di vista economico che della coscienza di sé. Parlare per quel
tempo di una borghesia conscia del suo ruolo e del suo status di
classe sarebbe un anacronismo rozzo e un errore. Il contesto sociale
e l’ ideologia degli ordini, con tutto il fardello di attriti e dii
inibizioni che li caratterizzavano, frenò e ritardò sia lo sviluppo
del capitalismo mercantile che di quello manifatturiero.
Ovunque,
nella società francese del ‘600, a tutti i livelli, covavano
conflitti, in una società priva della cultura del conflitto in
generale, per non parlare del conflitto di classe.
La
monarchia francese si trovava nella tenaglia da lei stessa creata. Si
muoveva tra due muri da essa stessa creati:
a ) l’
ipertrofia e la proliferazione dei ruoli dirigenti e privilegiati (
voluta per dotarsi di un’ ossatura di fedeli commis e per sostenere
il proprio fabbisogno fiscale ), una ipertrofia costosa, da
alimentare [ le entrate immediate realizzate con la vendita di un
ufficio si tramutavano poi nell’ erogazione diuturna, annuale, di
rendite ai possessori delle cariche ].
Quella
che in passato si presentò come una soluzione era divenuto un peso
insostenibile
b ) l’
enorme fabbisogno per per finanziare i continui sforzi bellici.
Che
soluzioni rimanevano allo Stato ? Proseguire nella politica della
venalità della cariche ? Vista la saturazione c’ era poco da fare.
Non restava che la via dell’ incremento del carico fiscale e dell’
indebitamento. Così lo Stato e la società francese si
paralizzarono poco alla volta. Il suo sistema assomigliava ad un cane
che si morde la coda. L’ intera società, comprese le sue élites e
la classe dirigente, rimasero come paralizzate di fronte a questo
spettacolo. I più conservatori dello status quo erano gli alto
borghesi, gli ex-borghesi dell’ alta NdeR, i finanzieri, i borghesi
legati alla Corona, l’ intera NdeR.
La
nobiltà di spada aveva grandi difficoltà a mantenere il proprio
status. Era esacerbata dall’ ascesa della NdeR e si trovava sempre
più minacciata dallo Stato, che, alla disperata ricerca di risorse,
incominciò a fare una verifica dei titoli di antica nobiltà, quelli
che garantivano l’ esenzione dalle tasse. Colbert ebbe infatti l’
idea di promuovere, dal 1665, le Recherches de noblesse, pretendendo
che i nobili dimostrassero, al cospetto di tribunali gestiti dalla
NdeR, con tanto di documenti e prove il loro alto e antico lignaggio.
Spesso era persino impossibile risalire tanto indietro nel tempo con
la documentazione. In ogni caso questi test significavano un grande
avvilimento per chi si sentiva di discendere dai Franchi, da coloro
che fondarono la monarchia stessa.
Un’
altra piaga per la nobiltà era l’ impossibilità di garantire ai
membri cadetti un reddito ed uno status che fosse appropriato al loro
rango. Si dovevano piegare a matrimoni con membri della NdeR o con i
borghesi ? Alcuni lo fecero, tanti altri preferirono il decadimento
economico. Si diffondeva sempre di più il fenomeno dell’
impoverimento generalizzato di gran parte della nobiltà. Un
impoverimento che distanziava molti nobili sempre di più dalla
monarchia. Tanto che questi, soprattutto i cadetti, divennero spesso
un problema di ordine pubblico.
COLBERT
e il MERCANTILISMO.
Come
giudicarne la teoria e l’ opera ? Colbert proveniva dall’ alta
borghesia ed era il tipico grand commis dell’ epoca, rappresentante
o vicino alla NdeR. Era ben conscio delle difficoltà strutturali
dell’ economia del suo Paese e dell’ impasse in cui la monarchia
si era cacciata. La sua opera, dapprima glorificata, ma negli ultimi
decenni assai ‘desacralizzata’ dagli storici, era mossa all’
accrescimento delle risorse del Paese e al loro rastrellamento per il
bene dello Stato.
Colbert
vedeva nell’ arricchimento globale
della nazione l’ unica via di scampo
dai dilemmi in cui si dibatteva il Paese.
In due
parole, il MERCANTILISMO, di cui fu l’ iniziatore ed il massimo
paladino consisteva in questo: arricchimento
del Paese trainato dalla manifattura e centrato sull’ accumulo di
un surplus commerciale con l’ estero, tale da portare ad una
crescente tesaurizzazione di metalli e di beni preziosi.
Pendant e corollario di questa politica economica erano le misure
‘nazionalistiche’ e protezionistiche: dazi sulle merci straniere,
soprattutto sui prodotti di lusso, sostenimento attivo del commercio
estero francese sulle piazze del Mediterraneo, del Baltico e del
Medio Oriente, rafforzamento della marina francese, sostegno
finanziario della manifattura in Francia, incoraggiamento delle
avventure coloniali, pressione esercitata sui mercanti francesi a
formare compagnie d’ Oltremare sul modello olandese ed inglese,
indebolimento della posizione dominante degli Olandesi.
Nel’
insieme i risultati del colbertismo pare siano stati nel complesso
modesti.
Dato
la continua politica di potenza militare voluta da Luigi XIV non gli
riuscì di abbassare la pressione fiscale. Anzi, Colbert fu sempre
impegnato a ‘grattare il fondo del barile’. I mezzi con cui
poteva sostenere la manifattura francese erano modesti. Il livello
qualitativo, ad esempio per i prodotti tessili di medio prezzo,
lasciava a desiderare. La produzione tessile francese non era, nel
suo insieme, concorrenziale e tale da conquistare ampi mercati.
Colbert
non puntò a migliorare le infrastrutture necessarie per la creazione
di un vero mercato interno, né ebbe a disposizione i mezzi. La sua
politica economica era troppo statalista e guidata da criteri di
potenza politico-militare. Restò comunque un punto di riferimento il
suo interesse per lo sviluppo di manifatture nazionali di peso, da
sostenere con mezzi messi a disposizione dallo Stato. La sua
influenza, in un certo senso, si fa sentire ancora oggi in Francia,
mutatis mutandis.
Del
resto il mercantilismo, o più in generale l’ intervento statale
per promuovere i commerci, la penetrazione sui mercati internazionale
dei propri prodotti e per incentivare lo sviluppo dell’ industria
nazionale, furono per lungo tempo una costante per tanti paesi
europei.
Di
certo, il pensiero liberale ed il liberismo corressero le storture e
l’ approccio iniziale dato all’ economia nazionale, ma non si può
negare che si trovarono ad agire, grazie agli effetti delle politiche
mercantilistiche, su una base su cui si poteva operare, quanto meno
grazie al sentire comune, che si era formato, sulla necessità che la
nazione dovesse dotarsi di una politica economica moderna ed
espansiva.
Heidelberg, 13 giugno
3013
Beppe Vandai
BIBLIOGRAFIA DI
RIFERIMENTO:
Bürgertum
oder Bürgertümer ? Die französische Entwicklung vom Ende des
Ancien Règime zum frühen 19. Jahrhundert, di
Jean
MEYER
( traduzione di Wolfgang Mager
) – Bielefeld 1991 –
Early
Moderne France ( 1560 – 1715 ) 2° Edition di
Robin BRIGGS, Oxford
University Press 1998 Capitolo 2 : Economy
and Society.
Wege
in die Moderne,
di Klaus GARBER,
Berlin 2012. Teil II Absolutismus
und Konfessionalisierung – Kulturpolitik und Literatur. Zum
Ursprung der neueren deutschen Dichtung. Kap.
2.3 Im Zentrum der Macht. Martin Opitz
im Paris Richelieus ( Seiten 183 –
222
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