martedì 30 luglio 2013

Note sulla Borghesia Francese (1)


A N N O T A Z I O N I
tratte da “Wege in die Moderne”, di Klaus GARBER, Berlin 2012.
Teil II Absolutismus und Konfessionalisierung – Kulturpolitik und Literatur. Zum Ursprung der neueren deutschen Dichtung.
Kap. 2.3 Im Zentrum der Macht. Martin Opitz im Paris Richelieus ( Seiten 183 – 222 ).

Garber sottolinea a pag. 184 la differenza sostanziale
tra la politica cattolico-gallicana di Richelieu, che assedia La Rochelle e combatte gli Ugonotti, ma resta fedele alla politica di Enrico IV, tesa alla salvaguardia della neutralità dello Stato e alla pacificazione/tolleranza religiosa,
e la politica di Luigi XIV che porterà alla revoca dell’ Editto di Nantes e alla persecuzione/espulsione degli Ugonotti.
Un anno decisivo ( un anno di svolta ) nella politica di Richelieu fu il 1630. Conclusa vittoriosamente la battaglia interna contro gli Ugonotti intransigenti, R. sposta l’ accento del suo lavoro alla politica estera. In mente ha il braccio di ferro con gli Asburgo. Infatti media tra polacchi e svedesi e fa sì che i contendenti sottoscrivano l’armistizio. Pertanto gli svedesi furono più liberi di intervenire nella guerra dei trent’ anni tra le fila dei protestanti, e ovviamente contro gli Asburgo. 

 

I due massimi centri in Francia su cui la borghesia del sapere esercitava a quel tempo il suo potere erano i Parlamenti, soprattutto quello di Parigi, e il “Kreis der Puteaner” ( il massimo centro del tardo-umanesimo in Francia ).

L´accesso ai Parlamenti era possibile solo all’ alta borghesia o alla Nobiltà di Toga. L’ influsso del P. era dovuto agli istituti della REGISTRAZIONE e al DIRITTO DI RIMOSTRANZA delle leggi proposte dal Sovrano. A caratterizzare quell’ alta borghesia erano l’ erudizione in generale ed il possesso esclusivo del sapere politico-giuridico ( entrambe eccellenze di grandissimo peso e conquistate con il merito e non per trasmissione biologica ).

La grande borghesia francese si orientò ben presto all’ acquisto di uffici pubblici e di terre e volle entrare nei ranghi del secondo stato.

Per la nobiltà di spada la cosa era scandalosa. La base del privilegio nobiliare doveva restare una sola: la disponibilità a versare il sangue e la discendenza da coloro che istituirono e difesero il regime monarchico-aristocratico. Già un inaccettabile colpo basso era stata la perdita del privilegio a detenere gli uffici dello stato e la competenza ad esercitare la giustizia. Che questi istituti fossero venduti era inaccettabile. Che infine si concedesse la nobiltà ai borghesi che se li erano comperati era poi il massimo della provocazione.
Garber cita il Discours d’ un Gentil-Homme François à la Noblesse de France ( 1614 ), scritto in occasione della convocazione degli Stati Generali a Blois dello stesso anno [ gli ultimi prima della rivoluzione francese ].
In quegli Stati generali asperrimo fu lo scontro tra l’ alta borghesia di toga (B.deRobe) e Noblesse d’ epée. La prima non meriterebbe ancora quel nome, visto che apparteneva ancora al Terzo Stato ( anzi, ne era la guida ). Fatto sta che, la noblesse d’ epée invocò l’ abolizione della Paulette, mentre l’ altra borghesia l’abolizione di tante pensioni e appannaggi della nobiltà fannullona.
La prima cercava anche di giustificare la richiesta con la lentezza e l’ alto costo dell’ esercizio della giustizia.

Il rapporto tra monarchia e Noblesse de Robe è centrale per capire l’ Ancien Régime in Francia. I due poli si sostengono a vicenda. La NR serve al potere centrale per indebolire e tenere a bada l’antica aristocrazia, per ficcare e prevenire le spinte centrifughe e rafforzare quelle centripete. Il potere centrale è necessario alla NR per legittimarsi e stabilizzare la propria influenza sull’ intera società.

La corrente dei POLITIQUES ( da J. Bodin a L’ Hôpital ) rappresenta il punto d’ incontro e offre la teoria per il connubio tra re e NR. Il nocciolo della teoria: la neutralità dello Stato. Ciò non significa però che la NR avesse rinunciato a qualsiasi opera di critica e qualche volta di contrapposizione al re. Di assoluto rilievo fu anche l’ influsso del NEOSTOICISMO sulla ideologia dei Politiques.

Un forte punto d’ appoggio per il monarca fu il GALLICANESIMO. Il cuore di questa teoria:
la monarchia francese è legittimata direttamente dal diritto divino. Ergo: sono esclusi sia il diritto di resistenza o di rivolta ( come sostenuto dai Calvinisti ) che la supremazia spirituale del Papato.

Da pp. 196 – 197 si evince che nel 1562 un Editto promulgato da Caterina de Medici e da Carlo IX apriva il varco ad una politica di tolleranza religiosa e al pluralismo cristiano in Francia.


* * *

A N N O T A Z I O N I
tratte da “Bürgertum oder Bürgertümer ? Die französische Entwicklung vom Ende des Ancien Règime zum frühen 19. Jahrhundert ”, di JEAN MEYER
( traduzione di Wolfgang Mager ) – Bielefeld 1991 –


Secondo il grande medievista francese Marc Bloch (nello scritto L’ Ètrange défaite, del 1946: una riflessione sulle cause profonde della disfatta francese nella seconda guerra mondiale, in cui cercò di scovare le debolezze sistemiche del suo Paese) i quattro criteri distintivi della borghesia furono, nella storia di lunga durata: Agiatezza, istruzione, ruolo dirigente nazionale (politico, culturale, nel linguaggio e nei costumi), prestigio di fronte all’ intera società.
Circa il primo punto: Per il breve periodo, certezza di non avere problemi di cibo, Per il medio periodo, possesso adeguato di abiti,  Per il lungo periodo possesso di una abitazione.       Fino alla fine del settecento, a parte la nobiltà ed il clero, solo la media e alta borghesia si vedevano garantite sotto tutte e tre i punti di vista.  Per loro, il rischio di declassamento e la perdita di queste tre sicurezze o almeno di una di esse, era praticamente escluso.
Solo nel 19º secolo anche la piccola borghesia si senti garantita sotto entrambi i primi punti di vista. Il motivo principale consistette nel calo dei prezzi dei tessuti di cotone. Almeno fino alla fine del settecento il vestiario fu un grande status symbol, segno di agiatezza e della propria posizione, fianco della professione. Già dall’ inizio del ‘500 la borghesia del sapere si distingueva portando abiti lunghi ( quindi cari ) e gesticolava in modo assai ridotto, sottolineando così il proprio senso del decoro e di superiorità. Anche l' 800  fu assai impregnato di questi rituali. In quel secolo un simbolo di stato della borghesia fu l’ avere un pianoforte in casa.
Da tempi immemori e fino al XIX secolo  la fonte più rilevante e sicura di reddito fu la rendita fondiaria, che fu appannaggio in modo massiccio anche della borghesia. Un'altra voce importante era la decima ecclesiastica che nell’ A.R. in gran parte era stata feudalizzata. La abolizione del feudalesimo, di tutti diritti feudali, decretata con la Rivoluzione Francese, ( incluse le fonti di tante  rendite parassitarie ) colpi ampiamente non solo la nobiltà, ma anche la borghesia.  La quale però ebbe modo di rifarsi con il massiccio acquisto, a prezzi interessanti, del demanio nazionale.     Già durante l'antico regime in ampie zone, dove era diffusa la pratica della grande affittanza, i grandi fittavoli avevano già impostato un uso della terra di tipo capitalistico. I proprietari dei fondi erano nobili o borghesi che avevano puntato sulla terra. Mentre costoro ebbero difficoltà con l'abolizione dei diritti feudali, i fittavoli non furono assolutamente danneggiati. A livello di proprietà ci fu un grande rimescolamento di carte. La nobiltà perdette gran parte dei suoi possedimenti, che finirono nelle mani della borghesia cittadina, soprattutto parigina. Spesso fecero la parte del leone gli speculatori immobiliari e i fornitori dell' esercito.

Durante l'antico regime la borghesia ricavava reddito anche dal possesso degli uffici pubblici e dagli interessi che producevano i titoli di stato. Ovviamente, con l’ abolizione di tutti i privilegi feudali e regali voluta dai rivoluzionari del 1789, i beni posseduti con l'acquisto degli uffici pubblici non potevano più produrre dei redditi. Poteva però essere riconosciuto il valore del capitale investito nell'acquisto. Valore che fu registrato nel Grande libro dei Debiti dello Stato. Nell'esercito francese molti ufficiali rimasero in possesso di posti acquistati. Chiaramente però i posti che via via si liberavano non furono rinnovati. Dal 1789 qualsiasi ufficio pubblico veniva “messo a concorso” dallo Stato.
Facciamo ora un passo indietro nel 1664 per vedere di che entità erano i beni ammassati dai borghesi con la venalità degli uffici. Colbert contò 48.780 Uffici pubblici per un valore totale di 417.630.000 lire. Una cifra ragguardevolissima tenendo conto che le entrate statali in quel periodo ammontavano a 100 milioni di livre l'anno.  Il grande ministro tentò di abolire la venalità degli uffici, ma non ci riuscì per via del continuo fabbisogno statale di entrate per la sostenere le guerre. Gli riuscì invece un’ importante manovra che portò alla riduzione del valore reale del capitale investito, ad una sorta di calmiere.
In più, già dai primi anni della regno di Luigi XIV venne fissata come rendita annuale il 4,5% del capitale investito. Rendita che però aumentò percentualmente con il deprezzamento del valore reale del capitale. Per porre rimedio a questo inconveniente per lo Stato venne introdotta una tassazione sulle rendite di questi uffici. Solamente gli uffici che appartenevano all'entourage della Casa reale ne erano esclusi. L'opposizione dei Parlamenti non si fece attendere. Questo problema fu anzi uno dei principali a coagulare la resistenza della borghesia, ovvero della nobiltà di toga.  Alla fine dell’ Ancien Régime il valore degli uffici acquistati, annotato nel libro dei debiti pubblici, ammontava a circa mezzo miliardo di livres, a fronte di un valore totale delle monete d'oro e argento circolanti nel paese pari a circa due miliardi e mezzo.     
Con la grande inflazione degli anni 1793 - 1796 il valore reale di quei beni diminuì fortemente. In quegli anni vennero però risarcite in parte quelle sostanze. I risarcimenti furono subito reinvestiti, dai loro detentori, in beni immobiliari.  Non pochi tra i detentori degli uffici pubblici acquistati ebbero grandi difficoltà finanziarie. Ci fu chi onorò i debiti contratti nel frattempo e chi invece non li onorò.  Sin dall'inizio dell'800 ci fu una corsa alle rendite immobiliari e all'acquisto di titoli di Stato. Finché Napoleone Bonaparte assicurò ai francesi e allo Stato grandi entrate con le vittorie militari, non si posero problemi. Con il tracollo dell'impero napoleonico lo Stato si trovò in grandissime difficoltà, non potendo onorare i propri impegni.    
Quando la situazione si ristabilizzò, con la restaurazione e la monarchia di luglio, la borghesia francese riprese a investire massicciamente nei titoli di Stato.   Ancora un'annotazione sul peso di Parigi nell'ambito dell'acquisto degli uffici pubblici: a metà seicento un terzo dei capitali immessi nell'acquisto degli uffici proveniva dalla capitale.



Occupiamoci ora della grande borghesia del denaro in senso eminente, cioè imprenditoriale e finanziaria. Si trattava quasi esclusivamente di grandi commercianti e di armatori cresciuti con l’ espansione coloniale, fortemente voluta soprattutto da Luigi XIV. Con lo slancio verso le Americhe si accumularono grandi fortune con il commercio di beni coloniali, con la pirateria, con il trasporto di quei beni, con il commercio degli schiavi africani, con le piantagioni delle Antille, e via dicendo. Dalla seconda metà del ‘600 fino alla Rivoluzione Francese l’ Ovest della Francia, con ala testa le città portuali, fiorì grandemente. Alcuni nomi di grandi commercianti o armatori: attorno al 1720 il patrimonio di Dayncan de l’ Epine ammontava a 20 milioni di lire, quello delle famiglie Boutellier e Drouin, rispettivamente a 5 milioni. I commerci di articoli coloniali si estendevano per questi grandi commercianti anche verso l’ Europa settentrionale, raggiungendo, attraverso Amsterdam e Amburgo il Baltico, la Polonia e la Russia. Enorme fu il commercio del cotone coltivato nelle Americhe, un articolo che si prestava benissimo al decollo della rivoluzione industriale. Ma l’ occasione sostanzialmente non fu colta dalla Francia e dalla sua borghesia del denaro.
I suoi destini cambiarono poi bruscamente con la Riv. Fr. e la politica napoleonica. Allora, la politica estera francese spostò l’ asse verso l’ Europa, cioè a Est. Questa fu la grande occasione di tanti homines novi, con i piedi piantati originariamente nella media borghesia di Parigi e della Francia orientale. Le commesse di stato, per l’ esercito in primissimo luogo, ma anche la costruzione di nuove infrastrutture, fecero la loro fortuna. La politica militare francese era anche assai più interessata al carbone, al ferro e ai giacimenti minerari che ai commerci d’ Oltreoceano.
Giunta infine l’ epoca della Restaurazione fu la volta della grande industria cotoniera, insediatasi soprattutto in Normandia e nell’ Alsazia, e della prima siderurgia. Tutti settori ben difesi, in Francia come altrove, da misure protezionistiche.
Ma come stanno le cose con la finanza ? Se fino alla vigila della RV erano dominanti la componente legata alle fortune coloniali, che prestava alo Stato ingentissime somme, e quella che aveva avuto in appalto dallo Stato la raccolta delle entrate erariali, con e dopo la RV, entrambe persero di peso o sparirono. Lo Stato burocratizzò l’ amministrazione finanziaria. I grandi patrimoni finanziari ben foraggiati dai legami con l’ Oltremare si trovarono dalla parte dei perdenti. Non solo non furono più il centro e cardine dei commerci, ma si ritrovarono a non poter avere più le mani in pasta nel commercio degli schiavi.
I grandi finanzieri “occidentali” ebbero un ruolo di primo piano nella crisi che portò alla caduta di Luigi XVI. Rifiutandosi di rifinanziare un Stato tecnicamente fallito, costrinsero il re a convocare gli Sati Generali, mossa che gli fu fatale e da cui prese l’ abbrivio la RV. Ma la scelta di quei grani finanzieri non fu per loro felice. La RV li danneggiò. Si trovarono ad essere perseguitati. Tanti lasciarono la Francia per seguire all’ estero i loro commerci.
Le nuove leve dei finanzieri provennero dalla nuova media borghesia e da famiglie ebree molto ‘europeizzate’. Il nome di maggior spicco: il ramo parigino dei Rotschild. Questi inaugurarono un nuovo tipo di combinato capitalistico-commerciale-finanziario che non disdegnava nessun genere di attività lucrativa e differenziava al massimo lo spettro d’ azione, e quindi diminuiva i rischi. Si stimò che alla fine della Restaurazione il patrimonio dei Rotschild parigini ammontasse a 35 milioni di franchi.
Ma quale era lo stato, in questa fase, grazie alla fiammata napoleonica, ma anche una volta che questa si era esaurita, dell’ industria e dei commerci in Francia ? Si può forse dire che la Francia si ripiegò molto su se stessa. Si costituì per la prima volta un vero mercato nazionale. Le nuove infrastrutture lo permisero. Non solo. La unificazione dei pesi e delle misure, l’ abolizione di tutti i dazi interni ne furono la premessa necessaria. La manifattura francese si occupò quasi esclusivamente del mercato interno, anche perché ben protetta dai dazi imposti alale merci estere. I punti di forza nell’ industria, come dicevamo: il settore tessile ( soprattutto cotoniero ) e quello metallurgico. Per tutto l’ ‘800 ci fu espansione economica e sviluppo capitalistico, anche se in misura ben inferiore a quello inglese, belga o prussiano.

Meyer cerca a questo punto di far luce, per quanto possibile, mancando dati sicuri, e per via un po’ induttiva, sull’ entità quantitativa della borghesia nel suo complesso e del suo peso specifico in Francia.
A ridosso della RV, quando i francesi erano circa 28 milioni, i borghesi erano circa il 25% della popolazione, ovvero circa 7 milioni di individui appartenenti a vario titolo alla borghesia. Per detrazione: né i nobili, né i contadini né il clero. Detto in modo positivo: tutta la piccola borghesia cittadina (compresi gli artigiani, gli esercenti, ed altri che in qualche modo esercitavano un lavoro manuale, ma da autonomi ) tutta la borghesia del sapere e la borghesia del denaro media e grande.
Nel 1791, anno della prime elezioni repubblicane, dei 7 milioni di maschi che per età (almeno 25 anni) avrebbero in teoria potuto essere elettori, in quanto cittadini, 2,5 milioni erano esclusi per una clausola censitaria piuttosto bassa ( pagamento annuo di tasse pari ad almeno 3 giornate lavorative ). Da ciò si desume che circa 18 milioni di francesi non vivessero attorno al mero livello di sussistenza.
La costituzione appena approvata prevedeva un sistema elettorale indiretto. La grande massa degli elettori attivi (i 4,5 milioni rimasti dalla prima scrematura censitaria ) eleggeva in prima istanza i veri elettori dei deputati. Alla cerchia di questi elettori eletti potevano appartenere solo quanti pagavano tasse annue pari ad almeno 10 giornate lavorative. Si trattava di circa 50.000 maschi. Si deve dunque dedurre che al ‘nocciolo duro’ della borghesia del denaro e del sapere, cioè lo strato più benestante, che godeva del maggior prestigio sociale e del potere economico, apparteneva, includendo i familiari ( moltiplicando per il coefficiente 4 ) circa lo 0,7% della popolazione francese. Nel 1814, per le elezioni che dovevano decidere della nuova carta costituzionale, la cerchia di cui stiamo parlando ammontava a 72.000 maschi. Ergo: circa 290.000 borghesi decisamente benestanti.
Per entrare nella cerchia degli eleggibili al parlamento era necessario un reddito tassato per il valore di almeno 100 giornate lavorative. Qui siamo dunque alla crème delle crème dalla società borghese.
Non è azzardato parlare di esclusione della piccola e media borghesia, per non parlare dei ceti popolari ( in senso contemporaneo ), dalla gestione del potere. La cosa ebbe contraccolpi durante la RV, ma anche nel 1848.


J. Meyer osserva che la borghesia francese, o meglio, a suo dire, le borghesie francesi, avessero conosciuto, dall’ Ancien Règime fino all’ ‘800 inoltrato, grosso modo questa parabola: ascesa dalla piccola e media borghesia commerciale e imprenditoriale, arricchimento, posizionamento sotto le ali dello Stato in cerca di rendite sicure da questo erogate, investimento in terre ed in immobili, ricerca di protezione statale mediante una politica economica mercantilistica, decadimento se lo Stato non poteva più onorare gli impegni presi o doveva cambiare l’ assetto della sua politica economica, spesso in base a mutamenti strategici nella politica estera. A questo punto, altri emergevano per seguire lo stesso tipo di parabola. Secondo Jean Meyer avveniva che gli elementi che nel passato furono innovatori dal punto di vista economico o istituzionale divenissero conservatori. Spesso la borghesia meglio situata, più benestante, meglio dotata di mezzi, si ritrovava ad assumere posizioni retrograde e inibenti. Restava il fatto che sempre la borghesia francese guardava in primo luogo allo Stato, al potere centrale. Nulla a che fare con la borghesia inglese, fortemente liberale e liberista.

Meyer osserva infine ( en passant ) come, nell’ ‘800, nonostante gli sforzi avviati già da Napoleone per dotare la Francia di un moderno sistema universitario e di promuovere la ricerca ed il progresso delle scienze, mai la borghesia del sapere francese ebbe lo stesso impatto e lo stesso livello di prestigio, lo stesso livello direttivo per la nazione come la Bildungsbürgertum tedesca. Non da ultimo, fa notare Meyer, ciò era imputabile alla diversa struttura demografica e geopolitica all’ interno dei due Paesi. Centralistica e Parigi-dipendente la Francia, policentrica, con una rete di vivaci città di medie dimensioni la Germania. Anche lo sviluppo della rete dei trasporti fu opposto. E non per caso. Infatti, posti di fronte al rinnovamento o alla costituzione della rete infrastrutturale, in Francia si formarono ad un certo momento del 19. Secolo due scuole di pensiero. Gli urbanisti, gli ingegneri e i funzionari alle infrastrutture presero posizione per un sistema di connessioni a rete, i politici e i militari per un sistema a raggiera, con al centro Parigi. Questo, in primo luogo, per motivi strategico-militari. I tecnici ebbero la peggio.



* * *


[ NOTA MIA: Meyer pone grosso modo queste distinzioni all’ interno della borghesia:
la borghesia-della-rendita, la borghesia economica ( imprenditrice-capitalistica e quella finanziaria ); in altri passaggi distingue tra piccola borghesia e borghesia medio-grande. Questo autore tende a ‘sfrangiare’ la tela della compagine borghese per seguire la ‘fenomenologia’ di questa classe, che nelle sue mani tende a presentarsi come un aggregato di classi differenti. È più utile questo o parlare di un’ unica borghesia del denaro ?

Pare di capire che la borghesia imprenditoriale di tipo capitalistico si sviluppò in Francia in modo considerevole solo con la metà del’ ‘800.

Meyer rileva anche il gap culturale, di prestigio e di potere tra il ceto burocratico prussiano-tedesco e quello francese ]



* * *


A N N O T A Z I O N I T R A T T E da
Early Moderne France ( 1560 – 1715 ) 2° Edition di Robin BRIGGS
Oxford University Press 1998
Capitolo 2 : Economy and Society.

La popolazione francese tra il 1560 ed il 1715 si aggirava attorno ai 20 milioni di abitanti, con andamento sinusuoidale e differenze di crescita e decrescita tra regione e regione.

L’ economia e la popolazione ebbero una fase di crescita dalla metà del ‘400, ma verso la fine del ‘500 il processo si bloccò. La successiva stabilità demografica, connessa ad un lungo periodo di stagnazione economica che contrassegno tutto il ‘600, fu possibile mediante un contenimento delle nascite nei momenti favorevoli e mediante il ripopolamento nelle fasi di carestia e pestilenza. Gran parte della popolazione delle campagne era costantemente a rischio di sopravvivenza, viveva vicino ai limiti della sussistenza e bastava poco perché scendesse sotto quel limite. Nelle combinazioni di carestia ed epidemia si poteva anche verificare una moria del 20% degli abitanti delle regioni colpite. Anche se in altre regioni c’ erano riserve alimentari, spesso non erano disponibili per via della distanze e delal carenze di infrastrutture adeguate. Gravi crisi si contarono in questi anni: 1596–7, 1630-1, 1661-2, 1693-4, 1709-10.

L’ agricoltura in Francia era affetta da un problema: pochi erano gli investimenti produttivi tecnicamente avanzati e l’ afflusso di capitali per aumentarne la redditività. A parte le parcelle di terra in mano direttamente ai contadini, quasi mai di grandi dimensioni, la terra fu oggetto dell’ interesse della rendita parassitaria. Ciò avveniva soprattutto perché la borghesia cittadina (per lo più i mercanti e gli artigiani benestanti ) e la borghesia del sapere ( poi, in buona parte NdeR ) volevano darsi sicurezza e ulteriori entrate investendo nella terra. Risultati: stagnazione, scarsa presenza dell’ impresa agricola di tipo capitalistico, contadini sempre a rischio di crisi di sopravvivenza.
Parte della terra dei contadini ‘scivolava’ poi nelle mani dei contadini più ricchi, dei borghesi cittadini, e pure dei nobili, per essersi indebitati con questi nei momenti del bisogno. Non si ebbe comunque un fenomeno di espropriazione, proletarizzazione e pauperizzazione pari a quello inglese.
In ogni caso, in Francia, esisteva ed era a disposizione di possibili investitori borghesi un vasto mercato della terra, di facile accesso. Altrettanto facile era la chance di ottenere buone rendite ‘parassitarie’, o quanto meno non innovative, né di tipo capitalistico. Le forme tradizionali di produzione rimasero intatte.

Le due produzioni più diffuse, e rilevanti per la sussistenza della popolazione contadina, sia per l’ autosussistenza che per la commercializzazione erano la coltivazione cerealicola e la produzione vinicola.

Forte, anzi crescente, soprattutto nel ‘600 la pressione fiscale sulle campagne. A questa si aggiungeva, per i contadini, la pressione del ceto nobiliare ( ora anche della NdeR ) e del ceto borghese ( cittadino ) sulla produzione e l’ erosione della propria quota a disposizione.
Quasi inesistente la mobilità sociale per i contadini, così come la mobilità geografica
( emigrazione interna al Paese ). Il loro orizzonte era il villaggio o il circondario. Questo era il loro baluardo difensivo, il luogo del mutuo soccorso, della cooperazione, dove spendere la fiducia. Ma anche il luogo su cui contare per difendersi dalla spoliazione mediante le decime, i livelli e le rendite che pesavano annualmente sul loro lavoro. Il tasso di imposizione della decime si aggirava veramente attorno al 10%. Ci fu nel corso del ‘600 un incremento abbastanza contenuto, un incremento tra il 10% ed il 20% di quello stesso tasso.
A questo fardello però si aggiungeva la tassazione centrale, sempre più pesante, particolarmente nei periodi bellici, allora assai frequenti. Si calcola che verso al fien del ‘600 la tassazione superasse ogni livello di tollerabilità per un importo pari al 5% / 10% del “PIL“.
Conseguenza; depressione agraria, pauperismo; solo i contadini ricchi riuscivano a ‘ salvarsi dal gorgo ‘.
Tra il 1600 ed il 1715 il Paese langue in una grande stagnazione economica, che colpiva soprattutto i contadini, ma scontentava anche i signori della terra ( nobili di origine feudale, NdeR, borghesi che hanno investito in terre ). Mentre il ‘500 fu nell’ insieme, per la Francia, un secolo di crescita economica e di ascesa sociale e di grande espansione delle élites, di grande ascesa della borghesia, il “lungo“ ‘600 conobbe la stagnazione economica e il rallentamento delle mobilità sociale verso l’alto. A tal fine aumentò il potere discrezionale dello Stato, nel distribuire cariche e privilegi, così come il ruolo delle clientele. Pure il peso delle politiche matrimoniale si accrebbe. In generale era quasi impossibile incrementare il proprio patrimonio. Ne andava piuttosto della sua difesa. Le sole eccezioni: i grandi commercianti, i finanzieri e l’ alta nobiltà.

In generale emergono sempre di più e con sempre maggior chiarezza i limiti dell’ Ancien Règime.

Situazione nelle città o a ridosso di queste:
Le città erano allora in Francia per loro natura parassitarie e dipendenti dalla campagna, dalla produzione e formazione di ricchezza agricola. La manifattura e l’ artigianato occupavano meno del 10% della popolazione.
Tra gli artigiani notevole era lo scarto in termini di reddito e di prestigio tra i maestri e i loro Gesellen. Però nessun artigiano era veramente ricco. Solo i grandi mercanti lo erano. Erano anche loro che ‘comandavano’ la manifattura e l’ artigianato, che anticipavano i capitali, che trovavano le materie prime, che allocavano i prodotti.
I piccoli commercianti, giù giù fino ai bottegai e ai piccoli esercenti, vivacchiavano, combinando spesso questa con altre attività.
I mercanti ricchi o medio-ricchi non avevano grandi ( o per niente ) aspirazioni di tipo capitalistico. Non amavano quel ipo di rischio, preferendo la rendita sicura: terreni, altri beni immobili, uffici pubblici da comperare.
Solo la grande borghesia mercantile e quella finanziaria facevano eccezione. Dove le si trovava ? Nelle importanti città portuali e in centri come Bordeaux e Lione. Le famiglie di questa grande borghesia del denaro restarono fedeli alle loro attività.

Non è azzardato parlare di una vera e propria OSSIFICAZIONE DELLE ELITES nel “lungo“ ‘600 ( dall’ inizio del secolo al 1715 ) ed oltre. Si trattò di una chiusura verso il basso.
Restavano solo due vie per entrare nelle élites ed arricchirsi: a ) ottenere l’ appalto dell’ erario per una determinata regione o diventarne il tesoriere dello Stato, b ) rivestire questi ruoli per la grande nobiltà laica ( vecchia e nuova ) o ecclesiastica.

La società di ‘funzionava’ e pensava all’ interno di coordinate mentali a noi poco comprendibili. Statica era la visione della società nel suo complesso, conservatore lo sguardo sul proprio ruolo sociale. Una volta raggiunto un rango alto o intermedio, prevaleva la volontà di metterlo in mostra, di abbarbicarvisi. Era un’ epoca in cui il senso dell’ onore era altissimo, a tutti i livelli. Un onore, ben inteso, consistente soprattutto nel distinguersi verso il basso e nel farsi riconoscere dall’ alto stando nel proprio rango.
Nel ‘ 600 l’ ascesa verso l’ alta borghesia ristagnò. Del resto la NdeR era divenuta molto conservatrice, frenava, conservava, si opponeva ad ogni proliferazione degli uffici, cosa invece gradita e in parecchie fasi necessaria al potere centrale. La NdeR cercava solo di proseguire la propria scalata alle posizioni e agli uffici più alti e di maggior prestigio.

Il concetto di ORDINE impediva che sorgesse e potesse ‘funzionare’ il concetto di classe. Anche un artigiano che disponesse di pochi mezzi e di un minimo patrimonio si sentiva parte del 10% privilegiato della nazione. Ciò non significava però che avesse un senso di appartenenza di classe, con tanto di richieste e di aspirazioni. Pensava comunque in modo statico. Sapeva di fare parte del Terzo Stato e di distinguersi dai contadini, dai servitori, dai salariati ecc.
Il TS era un crogiolo di tante categorie e ceti assai differenti sia dal punto di vista economico che della coscienza di sé. Parlare per quel tempo di una borghesia conscia del suo ruolo e del suo status di classe sarebbe un anacronismo rozzo e un errore. Il contesto sociale e l’ ideologia degli ordini, con tutto il fardello di attriti e dii inibizioni che li caratterizzavano, frenò e ritardò sia lo sviluppo del capitalismo mercantile che di quello manifatturiero.
Ovunque, nella società francese del ‘600, a tutti i livelli, covavano conflitti, in una società priva della cultura del conflitto in generale, per non parlare del conflitto di classe.

La monarchia francese si trovava nella tenaglia da lei stessa creata. Si muoveva tra due muri da essa stessa creati:
a ) l’ ipertrofia e la proliferazione dei ruoli dirigenti e privilegiati ( voluta per dotarsi di un’ ossatura di fedeli commis e per sostenere il proprio fabbisogno fiscale ), una ipertrofia costosa, da alimentare [ le entrate immediate realizzate con la vendita di un ufficio si tramutavano poi nell’ erogazione diuturna, annuale, di rendite ai possessori delle cariche ].
Quella che in passato si presentò come una soluzione era divenuto un peso insostenibile
b ) l’ enorme fabbisogno per per finanziare i continui sforzi bellici.
Che soluzioni rimanevano allo Stato ? Proseguire nella politica della venalità della cariche ? Vista la saturazione c’ era poco da fare. Non restava che la via dell’ incremento del carico fiscale e dell’ indebitamento. Così lo Stato e la società francese si paralizzarono poco alla volta. Il suo sistema assomigliava ad un cane che si morde la coda. L’ intera società, comprese le sue élites e la classe dirigente, rimasero come paralizzate di fronte a questo spettacolo. I più conservatori dello status quo erano gli alto borghesi, gli ex-borghesi dell’ alta NdeR, i finanzieri, i borghesi legati alla Corona, l’ intera NdeR.

La nobiltà di spada aveva grandi difficoltà a mantenere il proprio status. Era esacerbata dall’ ascesa della NdeR e si trovava sempre più minacciata dallo Stato, che, alla disperata ricerca di risorse, incominciò a fare una verifica dei titoli di antica nobiltà, quelli che garantivano l’ esenzione dalle tasse. Colbert ebbe infatti l’ idea di promuovere, dal 1665, le Recherches de noblesse, pretendendo che i nobili dimostrassero, al cospetto di tribunali gestiti dalla NdeR, con tanto di documenti e prove il loro alto e antico lignaggio. Spesso era persino impossibile risalire tanto indietro nel tempo con la documentazione. In ogni caso questi test significavano un grande avvilimento per chi si sentiva di discendere dai Franchi, da coloro che fondarono la monarchia stessa.
Un’ altra piaga per la nobiltà era l’ impossibilità di garantire ai membri cadetti un reddito ed uno status che fosse appropriato al loro rango. Si dovevano piegare a matrimoni con membri della NdeR o con i borghesi ? Alcuni lo fecero, tanti altri preferirono il decadimento economico. Si diffondeva sempre di più il fenomeno dell’ impoverimento generalizzato di gran parte della nobiltà. Un impoverimento che distanziava molti nobili sempre di più dalla monarchia. Tanto che questi, soprattutto i cadetti, divennero spesso un problema di ordine pubblico.

COLBERT e il MERCANTILISMO.
Come giudicarne la teoria e l’ opera ? Colbert proveniva dall’ alta borghesia ed era il tipico grand commis dell’ epoca, rappresentante o vicino alla NdeR. Era ben conscio delle difficoltà strutturali dell’ economia del suo Paese e dell’ impasse in cui la monarchia si era cacciata. La sua opera, dapprima glorificata, ma negli ultimi decenni assai ‘desacralizzata’ dagli storici, era mossa all’ accrescimento delle risorse del Paese e al loro rastrellamento per il bene dello Stato.
Colbert vedeva nell’ arricchimento globale della nazione l’ unica via di scampo dai dilemmi in cui si dibatteva il Paese.
In due parole, il MERCANTILISMO, di cui fu l’ iniziatore ed il massimo paladino consisteva in questo: arricchimento del Paese trainato dalla manifattura e centrato sull’ accumulo di un surplus commerciale con l’ estero, tale da portare ad una crescente tesaurizzazione di metalli e di beni preziosi. Pendant e corollario di questa politica economica erano le misure ‘nazionalistiche’ e protezionistiche: dazi sulle merci straniere, soprattutto sui prodotti di lusso, sostenimento attivo del commercio estero francese sulle piazze del Mediterraneo, del Baltico e del Medio Oriente, rafforzamento della marina francese, sostegno finanziario della manifattura in Francia, incoraggiamento delle avventure coloniali, pressione esercitata sui mercanti francesi a formare compagnie d’ Oltremare sul modello olandese ed inglese, indebolimento della posizione dominante degli Olandesi.
Nel’ insieme i risultati del colbertismo pare siano stati nel complesso modesti.
Dato la continua politica di potenza militare voluta da Luigi XIV non gli riuscì di abbassare la pressione fiscale. Anzi, Colbert fu sempre impegnato a ‘grattare il fondo del barile’. I mezzi con cui poteva sostenere la manifattura francese erano modesti. Il livello qualitativo, ad esempio per i prodotti tessili di medio prezzo, lasciava a desiderare. La produzione tessile francese non era, nel suo insieme, concorrenziale e tale da conquistare ampi mercati.
Colbert non puntò a migliorare le infrastrutture necessarie per la creazione di un vero mercato interno, né ebbe a disposizione i mezzi. La sua politica economica era troppo statalista e guidata da criteri di potenza politico-militare. Restò comunque un punto di riferimento il suo interesse per lo sviluppo di manifatture nazionali di peso, da sostenere con mezzi messi a disposizione dallo Stato. La sua influenza, in un certo senso, si fa sentire ancora oggi in Francia, mutatis mutandis.
Del resto il mercantilismo, o più in generale l’ intervento statale per promuovere i commerci, la penetrazione sui mercati internazionale dei propri prodotti e per incentivare lo sviluppo dell’ industria nazionale, furono per lungo tempo una costante per tanti paesi europei.
Di certo, il pensiero liberale ed il liberismo corressero le storture e l’ approccio iniziale dato all’ economia nazionale, ma non si può negare che si trovarono ad agire, grazie agli effetti delle politiche mercantilistiche, su una base su cui si poteva operare, quanto meno grazie al sentire comune, che si era formato, sulla necessità che la nazione dovesse dotarsi di una politica economica moderna ed espansiva.

Heidelberg, 13 giugno 3013


Beppe Vandai



BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:


Bürgertum oder Bürgertümer ? Die französische Entwicklung vom Ende des Ancien Règime zum frühen 19. Jahrhundert, di  Jean MEYER ( traduzione di Wolfgang Mager  ) – Bielefeld 1991 –
Early Moderne France ( 1560 – 1715 ) 2° Edition    di  Robin BRIGGS, Oxford University Press 1998   Capitolo 2 : Economy and Society.
Wege in die Moderne, di Klaus GARBER, Berlin 2012. Teil II Absolutismus und Konfessionalisierung – Kulturpolitik und Literatur. Zum Ursprung der neueren deutschen Dichtung. Kap. 2.3 Im Zentrum der Macht. Martin Opitz im Paris Richelieus ( Seiten 183 – 222

Nessun commento:

Posta un commento