APPUNTI
TRATTI
da
HISTOIRE
DE LA BOURGEOSIE EN FRANCE
Les
temps modernes ( vol. 2 )
di
Régine Pernoud
Paris
1962
Dal
cap. I (La
France moderne)
Nota
tratta da Lucine Febvre: dagli elenchi delle eredità e dei lasciti
risulta che ancora verso la metà del ‘500 i borghesi possedevano
molti quadri o decorazioni di tipo religioso. Dalla fine del ‘500
si ha poco alla volta al preponderanza di immagini laiche, prosaiche,
via via sempre più classicheggianti. Poi si diffuse l’ abitudine
di farsi ritrarre. La cosa andò poi dilagando verso la seconda metà
del ‘600.
I
borghesi tendevano comunque ad una certa sobrietà nelle
suppellettili, nei colori scelti per l’ abitazione e per i mobili.
Anche nel vestire tendevano ad essere severi. La robe
era di solito nera e lunga.
Dal
cap. II (L’ honnête homme)
Nel
Medioevo i deboli, la donne e i bambini erano assai protetti, spesso
idealizzati. Era compito del cavaliere difenderli. I bambini
ottenevano la maggiore età a 14 anni.
Dalla
fine del ME si impone poco alla volta il diritto romano, che mette al
centro il ruolo e i diritti del pater familias. Si diventa adulti
solo a 25 anni.
Il
patrimonio familiare, in caso di decesso, rifluiva nel Medioevo
spesso in entrambe le famiglie di origine dei due coniugi. Ora si fa
largo la tendenza ad accumulare tutto secondo la discendenza
maschile, del primogenito innanzitutto. Si fa largo anche l’ uso
del testamento, con cui il pater familias dispone liberamente del
patrimonio, o quanto meno di una sua parte.
Nel ME
c’ era libertà di scegliersi il marito o la moglie. Ora i
matrimoni vengono combinati.
Al
centro dell’ attenzione, negli ambienti borghesi è al figura dell’
honnête homme: l’ uomo moderato, prudente, controllato, mai
vittima delle passioni, che segue un preciso galateo di buone
maniere.
La
letteratura è quasi tutta borghese ( appannaggio di borghesi ),
vedi: Corneille, Racine, Boileau, Molière, La Fontaine. Solo Fénelon
La Rochefoucauld sono nobili.
Sia
nelle scuole gestite dai domenicani che dai gesuiti che in quelle
laiche dilagano la letteratura e la cultura classico-umanistica, uan
cultura d’ élite che non corrisponde più all’ istruzione
elementare impartita nelle scuole gestite nelle parrocchie. Si apre
un grande divario tra le due culture, la borghese ( classicheggiante,
intrisa di diritto, tesa alla ricerca ) e la cultura
pratico-popolare-religiosa. Nella prima si innestano il principio
dell’ emulazione e forti tratti di individualismo e di indipendenza
intellettuale, di originalità.
La
cultura e la formazione alta si orienta anche sempre di più verso la
corte e sempre meno verso l’ università. L’ intellettuale deve
avere anche un impatto ‘politico’. Si fa largo l’ umanesimo
razionale, il cui massimo campione sarà Descartes.
Si
segue l’ esempio della sistematicità del diritto romano. Si punta
a quantificare e a fondare il sapere sui dati inoppugnabili dell’
evidenza. Si elabora un metodo di deduzioni stringente e razionale.
Il
cartesianesimo dà una base ideologica ed un forte senso di sé alla
NdeR. Boileau elabora un’ estetica del’ armonia e della
compostezza, della ricerca del bello ideale. Corneille impone al
teatro la pregnanza e la misuratezza delle tre unità, di luogo, di
tempo e di spazio. È l’ epoca in cui si impone l’ accademismo.
Le accademie danno lustro allo stato e vengono da esse sostenute. Un
gran paladino di esse fu Richelieu. Si cerca la protezione reale, che
viene abbondantemente elargita. Luigi XIV darà il tono con la corte
di Versailles.
Savary,
in un’ opera dedicata a Colbert, Le
parfait négociant, delinea il quadro
delle virtù borghesi: precisione professionale, organizzazione negli
affari, zelo, parsimonia, solidarietà professionale. Non sono in
contrasto con le virtù cristiane, ma il tono è decisamente laico,
secolarizzato. L´ascesi di vita c’ è, ma orientata soprattutto
all’ immanenza.
Ci si
orienta tanto secondo l’ etica antica, stoica, ma anche epicurea,
in una sorta di epicureismo pratico, aperto alla ricerca della
felicità e del benessere terreno. Secondo Racine, si può essere sia
un h.h. che un buon cristiano, in una sorta di irenismo in cui
sfumano le asprezze verticali del cristianesimo. Gassendi va oltre,
verso lidi più pagani e democritei. Sottolinea con forza il ruolo
della ragione. Poco alla volta ci si apre così al deismo.
Non
manca però una reazione a queste tendenze secolarizzanti. I
Giansenisti, coagulatisi attorno alla teologia fortemente agostiniana
di Jansen, e stabilita la loro roccaforte a Port Royal, iniziano con
l’ Arnauld, Saint-Cyran e Pascal a riabilitare un cristianesimo più
interiore, aperto allo scandalo della fede, teocentrico, moralmente
rigorista. Nel ‘600 avrà un gran seguito tra la NdeR, nel clero e
nel Parlamento di Parigi.
Il
Giansenismo verrà combattuto dal Papato a partire dal 1663, fino al
climax: la bolla Unigenitus ( del 1713 ) presto accolta e fatta
applicare da Luigi XIV, paladino dell’ ortodossia gallicana.
Il
Giansenismo aveva ( secondo la Pernoud ) somiglianze con forme di
manicheismo, tutto intriso di un fortissimo dualismo. Ma ancora più
evidenti erano le somiglianze con il calvinismo. E non fu casuale che
entrambe le correnti religiose ebbero diffusione e successo
soprattutto nelle file della borghesia. Vi si sottolineava la
dipendenza dalla grazia divina, dispensata secondo un piano divino
imperscrutabile ed immodificabile, che affidava ad ogni fedele dei
piani da compiere, degli obiettivi da raggiungere nell’ al di qua.
La prosperità, raggiunta con una vita ascetica e misurata , era il
segno di un’ elezione, dell`aver adempiuto ad una missione. I
poveri per colpa loro, i mendicanti che si lasciavano andare, erano
segnati da una maledizione divina o avevano disatteso un’ elezione.
Non si provava per loro granché di pietà. Ne nacque una
legislazione che censurava la povertà, che espelleva i mendicanti
dalla città [ p. 58 – 60 ]. Mentre nel Medioevo la mendicità non
era vista come un problema sociale, lo deverrà a partire dal ‘500.
Ci saranno meno ospizi o luoghi di rifugio per i mendicanti. La
mendicità veniva considerata come un male ineliminabile, causata
dalla bassezza di certi individui, che vanno sì sfamati, ma a cui va
lasciato il pungolo del bisogno. Se lavorano, lo fanno solo per non
morire d’ inedia, tutt’ altra cosa rispetto al lavoro come ascesi
di vita di un borghese o alla disciplina dei contadini.
Con il
Concordato del 1516 tra Monarchia Francese e Chiesa veniva sancito
che la nomina dei vescovi era di competenza reale.
Il
monarca francese era anche il capo religioso nel suo Paese. Il
gallicanesimo si impone poi, poco alla volta senza più ostacoli. La
supremazia monarchica faceva il paio con la concezione, discendente
dal diritto romano, secondo cui la regalità si esprimeva a tutti i
livelli. Il re stabiliva le imposte, era il capo dell’ esercito,
decideva della pace o della guerra. Iniziò così la strada che porta
alla monarchia assoluta. Il re è sovrano per volontà divina. Ma
poco interessa in questa apoteosi del potere monarchico l’
articolazione cristiana della Trinità ed il mistero dell’
Incarnazione, tanto cara alla Chiesa soprattutto dal ‘300 [ pp.
64-65 ]. In Francia si sottolinea una sorta di analogia tra il re e
Dio Padre.
Nel
1673 Luigi XIV convoca l’ assemblea del clero francese, nonostante
la forte contrarietà del Papa, per garantirsi il diritto di disporre
dei benefici ( entrate ) in caso la ‘vacanza’ del vescovo. Oltre
a ciò fece redigere e approvare una Déclaration del clero francese
così articolata:
a ) I
principi, ed in particolare il re di Francia, non sono sottomessi al
potere papale,
b ) il
potere spirituale del Papa viene riconosciuto, ma solo se rispetta
gli “antichi canoni” della Chiesa francese,
c ) il
concilio ecumenico è superiore al Papa,
d ) le
decisioni del Papa, anche di ordine spirituale, non sono applicabili
in Francia senza il consenso dei vescovi francesi.
La
vita monastica decadde e fu lasciata decadere enormemente nel ‘600.
Quello fu il secolo dei grandi predicatori e dell’ oratoria
religiosa, che raggiunse dimensioni e toni spettacolari.
Magra
fu anche la messe in termini di carità cristiana. Due sole le figure
di grande rilievo: * Jean-Baptiste de la Salle, che si incarica del’
educazione cristiana del popolo, in grave stato di abbandono con la
sparizione delle scuole parrocchiali, e ** Vincent de Paul, che avviò
un grande movimento caritativo di aiuto ai mendicanti e ai poveri.
Non
vanno passate sotto silenzio la persecuzione e l’ espulsione dei
protestanti volute dal Re Sole. Con la revoca dell’ editto di
Nantes, dovranno lasciare il Paese da 200.000 a 400.00 calvinisti,
secondo le differenti stime, in gran parte appartenenti alla
borghesia del denaro e del sapere, ma anche artigiani, tecnici.
Parecchio know how borghese e spirito d’ iniziativa andò a
rafforzare i Paesi Bassi, l’ Inghilterra, la Prussia ed altri
principati tedeschi.
Dal
cap. III (La noblesse de robe)
Il
giurista seicentesco Loyseau, nel Traité
des Ordres et simples dignités, del
1610 – il
trattato per eccellenza in questa
materia, il principale punto di riferimento per la definizione l’
autocomprensione
del sistema cetuale, nel delimitare il perimetro dei non nobili –
evita esplicitamente, per scelta etimologica, l’uso dei termini
‘borghese’ e ‘borghesia’, per lui troppo centrati sugli
abitanti delle città, troppo deboli e troppo inclusivi. Preferisce
ricorrere al termine “Terzo Stato”. Precisa però che si tratta
di un gruppo parecchio eterogeneo dal punto di vista di classe e
dell’ occupazione.
Vi
farebbero parte 4 categorie di persone, con famiglie annesse e
connesse:
i ) Le
genti di lettere formatesi nelle facoltà di diritto, teologia,
medicina e nelle arti liberali,
ii ) I
finanzieri ( detentori di uffici reali addetti alle finanze ),
iii )
I giudici, gli avvocati e tutti quanti praticano le discipline
giuridiche: notai, procuratori, cancellieri, ecc. ,
iiii )
I mercanti.
Esclusi
erano invece tutti quanti praticavano lavori manuali, compresi gli
artigiani, o lavori subordinati. Tutta gente di ‘vile reputazione’,
‘popolino ignorante’. Diffusissima era la disistima del lavoro
manuale, alimentata anche dallo studio dei classici dell’
antichità. Ambitissimo, per il prestigio che offre, invece il far
parte dei ranghi dello Stato, l’ essere detentore di una carica, di
una competenza, di un ufficio pubblico.
L’
obiettivo della borghesia in senso forte e proprio, quella che
rientrava nella rubrica di Loyseau, era di ottenere lo status
nobiliare.
Non ci
dilunghiamo sulla pratica della venalità delle cariche, della loro
proliferazione per motivi di bilancio (per la Corona ), della volontà
dei monarchi di non dipendere troppo dalla nobiltà di spada, della
necessità di far guadagnare lo Sato in termini di competenza.
Resta
il fatto che il valore ed i prezzi delle cariche dipendono dalla loro
importanza. Soprattutto nella prima metà del ‘600 i prezzi
lievitarono enormemente. [ Alcuni accenni a pp. 84 – 86 ]. Sia come
sia, la parte più ricca della borghesia del denaro e del sapere che
costituiva il Terzo Stato penetrerà massicciamente nella nobiltà.
La carriera è spesso questa: un mercante ricco o agiato avvia i
figli alla formazione che ne farà dei membri della borghesia del
sapere. Questi, acquisite le competenze e ben dotati dalla famiglia,
acquistano una carica. La pagano più o meno profumatamente. Ma che
vantaggi hanno, a parte il prestigio, che allora non era cosa di poco
conto ? Già ricevono dalla Corona una rendita annua adeguata, in più
hanno le entrate legate all’ esercizio della loro professione. Per
di più le cariche erano divenute ereditarie. Ma perché allora
aspirare alla nobiltà ?
Innanzitutto
per godere del titolo che inserisce nella classe dei potenti e
sentirsi legati a doppio filo al monarca. Poi, cosa tutt’ altro che
disprezzabile, per essere esentati dalla taille
, la principale tassa diretta,
proporzionale alle entrate. Soprattutto grazie alla loro formazione
sul diritto romano, i giuristi trovavano giustificata questa forma di
immunità anche per i servitori dello Stato. La nobiltà di spada già
ne godeva in quanto gruppo sociale dei guerrieri, essendo i
discendenti di chi aveva dato il suo tributo di sangue ed essendo
pronti in ogni momento a fare altrettanto.
Un
punto di svolta si ebbe agli Sati Generali del 1614, gli ultimi prima
di quelli fatali del 1789. Il Terzo Sato, il gruppo più numeroso,
era composto a sua volta in gran parte e guidato dalla borghesia di
toga ( borghesia del sapere ). Quasi tutti i deputati, di tutti gli
ordini, si pronunciarono per l’ abolizione della venalità delle
cariche. Ma il TS richiese la contestuale abolizione delle pensioni
erogate alla nobiltà. Il clero appoggiò le richieste del TS, poiché
voleva indebolire la nobiltà, al fine di far passare l’
applicazione delle disposizioni del Concilio Tridentino. Dato questo
stallo agli Stati Generali, nulla venne abolito. Restò però il
fatto che la nobiltà non aveva la forza di bloccare il nobilitamento
della Bourgeosie de robe. Si consumò così la disfatta del 2°
Stato. La via per la Noblesse de Robe era stata aperta. In effetti,
la monarchia andò sempre più appoggiandosi sulla nuova nobiltà.
Solo
dagli anni 20 del ‘700 la nobiltà di spada poté riprendersi.
Questo generò però una certa presa di distanza della NdeRobe dal
sovrano: un elemento che pesò anche nel far precipitare la crisi
dell’ Ancien Règime e favorì la Rivoluzione Francese.
Tra i
magistrati, i giureconsulti e le diverse figure dei pubblici
ufficiali esistevano tre distinzioni di grado. Dunque si
distinguevano i robins in tre categorie:
La
petite robe
( il livello più basso nella scala dei robins ): avvocati, notai,
cancellieri, pubblici ministeri. Erano piuttosto ambiziosi e
turbolenti, volendo salire di grado.
La
moyenne robe:
in generale gli alti funzionari, rappresentanti del re o dei principi
in provincia per le questioni amministrative e giuridiche, chi
ruotava attorno ai parlamenti provinciali ed era deputato alla
giustizia signorile ( dei nobili ), chi aveva un grosso ruolo nelle
decisioni locali in termini di diritto privato, sulle proprietà ecc.
Questo corpo intermedio era molto potente a livello locale e
regionale. Riusciva spesso ad arricchirsi anche in modo fraudolento.
La
grande robe:
consiglieri di stato, i titolari delle alte cariche dei parlamenti
ecc. I parlamenti avevano acquistato con il tempo sempre nuove
competenze. Alla funzione di controllo e ratifica delle leggi reali
e agli gli affari giudiziari, si erano aggiunti questi compiti: l’
amministrazione delle risorse finanziarie, l’ordine pubblico, la
gestione degli affari religiosi, il mantenimento delle
infrastrutture. Il parlamento di Parigi era di gran lunga il più
potente.
Da
queste figure sociali partì l’ assalto ad essere anoblis.
Heidelberg,
13 giugno 3013
Beppe
Vandai
Nessun commento:
Posta un commento