TESI
ESTRATTE da
Un
volto che ci somiglia
di
Carlo Levi
( 1959-1960 )
1
) L’ Italia è il luogo e il
risultato di un’ antropizzazione lunga,
lenta, cumulativa, stratificata, segnata anche da fratture, ma in una
sostanziale, solida continuità.
2
) Ergo: l’
Italia è il nostro vero specchio. In
essa possiamo a buon diritto vedere (non solo guardare) noi stessi. E
l’ italiano che la vede, che ci vede ? La
madre, cioè chi lo ha generato, gli ha
dato l’ imprinting.
3
) Le cose, l’ ambiente, le città,
i villaggi in Italia ci costringono a vedere
lo spazio ed il tempo nella loro unità.
Lo spazio segnato da e formato nel tempo. Il tempo ( cioè gli eventi
importanti, epocali, effettuali, degni di depositarsi ) fattosi
spazio, ovvero diventato cose nello spazio. L’ Italia è un
complesso precipitato del tempo. È
anche memoria fattasi cosa, reificata.
4
) Ecco perché possiamo dire a
pieno titolo, in modo pregnante, di vedere nell’ Italia un volto
che ci somiglia. ‘Decifrandola’
vediamo noi stessi e possiamo capire perché siamo quello che siamo.
Anche lo straniero, se ha un grande spirito, può capirla,
‘afferrarla’, ma sempre come ci si rapporta a qualcosa di
estraneo, di diverso da sé. Noi, invece, non possiamo non
identificarcisi, avere un rapporto affettivo come quello che si ha
verso la propria madre, con la madre che ci ha generati, educati,
amati. E parlandone, parliamo di noi stessi, sapendo che ne va di noi
stessi.
5
) E si è tentati di vederla come
una divinità antica, in ogni caso come
una persona. In questo tratto, sono
stati decisivi gli artisti, i poeti,
che ne hanno cavato l’ essenza, che le
hanno dato forma e voce, che, così
facendo, l’ hanno
anche determinata.
Le cose non sono solo altamente antropizzate, ma portano in sé i
segni dell’ interpretazione, di soggettività che l’ hanno
formata. Non solo. Le cose sono bene o male tutte conservate
nell’ insieme, nell’ intero. Le
cose, e le civiltà di cui sono il
precipitato, sono entrate in simbiosi.
Ne è comunque scaturita un’ armonizzazione: un’ armonizzazione
non facile, non priva di contrasti tra le tante stagioni e le tante
culture che l’ hanno determinata.
6
) Ecco perché l’ Italia è
anche un luogo di massima realizzazione delle contemporaneità
di tempi differenti: sincronia della
diacronia. E questo è stato possibile mediante la stratificazione
nelle cose, nei costumi, nei modi di vita. Ma c’ è di più.
Decisivo è stato il fenomeno dell’ assimilazione
del precedente nel susseguente,
tollerata o voluta dal seguente. Così si spiega ad esempio che forze
molto arcaiche, telluriche, rivivano in modo più delicato, più
mansueto, o in modo controllato, nelle civiltà successive. [ Levi
pensa qui in primo luogo al passaggio dell’ approccio magico alla
natura e al divino, poi passato, trasformato e tollerato dalla Roma
antica e dal cristianesimo, ndr
]. [ Ma anche altri tratti hanno radici antichissime e sono giunti
fino a noi: il senso dell’ ospitalità, della comunicazione, il
valore del cibo, il senso del vicinato, il senso del vivere in
armonia, in modo tollerante, il ruolo della sensualità, ndr
].
7
) Il forte e particolare senso
italiano della contemporaneità, che consiste nel senso
della permanenza del passato, non ha
nulla di museale, di folcloristico perché si manifesta nell’ animo
di ogni uomo, nel suo modo di vivere e di sentire. Ma com’ è stata
possibile questa metabolizzazione del passato ? Sostanzialmente
grazie a due fattori: a ) il
policentrismo e b ) la ‘fusione’
delle differenze in un unico contesto,
in un’ unica tendenza.
a )
non è stato altro che il dispiegarsi di un’ infinità di centri
diversi, che hanno avuto il tempo di cristallizzare forme di vita e
culture diverse, ognuna formatasi, in modo differente, alla prova del
confronto con la natura.
b )
è consistito nell’ immissione continua, dovuta alla collisione di
queste civiltà, di grandi masse, nuove al processo storico,
costrette ad adeguarsi, ad assimilare in fretta il nuovo, a
ricapitolarlo in sé ( come nel rapporto filogenesi – ontogenesi ).
8
) Ma il
processo di antropizzazione della
natura, oltre ad essere antico, plurimillenario, è
stato molto duro, segnato per lo più
dalla scarsità delle risorse. L’ armonia che spesso si incontra
non tragga in inganno, è stata ottenuta con sudore e sangue. E
siccome l’ accumulo è stato lento e faticoso, nella gente sono
rimasti un profondo senso di attaccamento alla vita, alle condizioni
della propria esistenza, alle proprie radici, e una consapevolezza
dei propri limiti. Ne nasce negli italiani una realistica
e concreta vitalità, refrattaria all’
ideologia e all’ omologazione.
9
) La civiltà italiana ha in sé un
carattere insieme popolare e
aristocratico. [ La cosa si spiega,
penso, con l’ atavica vicinanza, in cui c’ è contrasto e
contaminazione, di questi due elementi sociali costitutivi di una
civiltà di lunghissima durata, ndr
]. La nostra civiltà non è affatto borghese, in senso pieno e
moderno. Persino la borghesia, sorta per prima in Italia, sgusciata
dallo e nello ambiente cittadino, non si è sentita portatrice di una
nuova civiltà, non ha sentito il bisogno di rottura, si è piuttosto
inserita nell’ antico contesto, con le coordinate che si erano
fissate da tempi immemori. Così si spiega la debolezza
della borghesia in Italia, la mancanza
evidente di un suo ruolo di rottura, di trasformazione e mediazione
della società. Tant’ è che ancora convivono l’ uno accanto all’
altro miseria e abbondanza, soggezione e prepotenza, penuria e lusso.
10
) Ma la miseria, le sofferenze, la
precarietà materiale, l’ incertezza nella propria esistenza non
hanno mai prodotto nel nostro Paese una cultura tragica, negativa,
drammatica. Al contrario, da noi “ è assai più scarso che altrove
il dramma dell’angoscia esistenziale “. E si può ben dire che
uno dei caratteri fondamentali italiani sia “una
profonda sicurezza esistenziale”.
“ La persona (…) sta attorno a un suo nucleo solido “.
Quali
le possibili spiegazioni di questo dato di fatto esistenziale ? Forse
queste:
a ) “
la lunghezza e la complessità del
processo storico “, la grande
esperienza di mutamenti e di assestamenti ha insegnato a non farsi
afferrare da un disperato scoramento;
b ) “
il senso e la capacità della forma
“, cioè la potenza dell’ arte, dell’ espressione artistica,
che trasfigura e trasforma l’ esistente. Nel nostro Paese l’ arte
ha insediato nella gente, in tutto il popolo il senso della forma, ha
creato forme che diventano modelli che
aiutano a vivere, che trasmettono
equilibrio e armonia,
ha spinto la persona a cercare e trovare in sé una compiutezza tutta
propria e al contempo ideale. Ancora, l’ arte nostra, il bello
ideale ha plasmato ed informato di sé anche la religione cristiana,
ne ha addolcito le asprezze, l’ ha popolata di immagini “benigne,
familiari e materne”.
11
) Anche quello che si usa chiamare
l’ individualismo
degli italiani non è altro che compiutezza
della persona. Non solo. Il nostro
cosiddetto individualismo non ha nulla di solipsistico, di
nichilistico, perché si inscrive in un profondo senso
della comunità (nazionale,
locale e
soprattutto familiare).
Tutte comunità concrete, realtà che sono ‘la casa’ in cui ‘si
abita’, in cui si svolge la vita. Realtà di cui l’ uomo si sente
parte integrante.
Queste
forme di comunità si sono sedimentate in una lunga e lenta
esperienza storica e hanno dato buona prova di sé. E dato che in
esse si realizza quella compiutezza dell’ uomo, poco si sente il
bisogno di istituzioni più astratte, incardinate su regole e
principi puramente razionali ( etici, giuridici o politici ).
12
) Ma questo individualismo poi
convive, si corrobora e si contempera in Italia con un tratto che
pare opposto, ma non lo è: con la
tensione universalistica. Basti pensare
all’ aspetto storico: il Paese è stato al centro, senza soluzione
di continuità, dell’ universalismo dell’ Impero Romano e della
Chiesa Cattolica. Ma qui non ci si deve fermare. L’ universalismo
da noi è un dato profondo, radicato, perché è senso dell’ uomo
tout court, un senso vissuto e praticato che ‘apre’ al mondo.
13
) L’ elemento di fondo che
sottende tutti gli altri, il vero baricentro dell’ italianità, è
il senso dell’ unità dell’ uomo,
unità con il suo passato,
nella sua continuità, con la natura
lungamente ‘lavorata’, in cui ci si riflette, con le
cose che ha prodotto nell’ arco di un
tempo lunghissimo, è l’ unità dell’
uomo con se stesso.
14
) Così si spiega anche il disagio
italiano di fronte all’
individualismo radicale, nichilistico, atomistico della civiltà
contemporanea. Da questo nichilismo, come dal puro appello alla
ragione è sorta la modernità.
Una modernità che l’ Italia non capisce o che stenta a capire,
verso cui è stata tanto diffidente, da cui in parte è stata esclusa
e in parte si è esclusa.
15
) Levi poi si rapporta con una nota
fortemente ottimistica ai deficit sociali, istituzionali ed economici
che l’ Italia ha obiettivamente da colmare. “Dopo gli anni vuoti
e offesi del fascismo, il popolo italiano si è riconosciuto nella
Resistenza“,
si è riscoperto in questa epica collettiva. È in primo luogo nel
movimento operaio e contadino
che vanno riposte le speranze di conservare il meglio del passato
italiano. Qui va cercata e trovata l’
Italia vera, “ che salva l’ unità
e la libertà dell’ uomo nella sua terra, nel suo amore, nel suo
lavoro “. Qui continua a vivere e si rinnova il meglio della sua
tradizione.
Giuseppe
Vandai Heidelberg,
18 / 09 / 2012
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