domenica 18 maggio 2014

Manifesto per un'unione politica dell'Eurozona


L´ Unione Europea attraversa una crisi che mette a repentaglio la sua stessa esistenza. Presto saranno le elezioni europee a ricordarcelo con crudezza. A esserne colpiti sono soprattutto i paesi dell’ eurozona, coinvolti in un clima di sfiducia e colpiti da una crisi debitoria tutt’ altro che risolta. La disoccupazione persiste e la deflazione incombe. Niente di più falso che credere che il peggio sia passato.



Ecco perché salutiamo con grande interesse le proposte avanzate a fine 2013 dai nostri amici tedeschi del Gruppo di Glienicke, proposte per rafforzare l’ unione politica e fiscale dei paesi dell’ eurozona. Da soli i nostri due paesi presto non avranno un gran peso economico mondiale. Se non ci uniamo in tempo nell’ immettere assieme il nostro modello di società nel processo di globalizzazione, allora la tentazione di rinchiudersi nei propri confini nazionali potrebbe prevalere e dare la stura a tensioni che farebbero impallidire le attuali difficoltà. Per certi aspetti il dibattito sull’ Europa è molto più avanti in Germania che in Francia. In quanto economisti, politologi, giornalisti, ma prima di tutto come cittadini francesi ed europei non accettiamo il clima di rassegnazione che sta paralizzando il nostro paese. Con questo manifesto vorremmo contribuire al dibattito sul futuro democratico dell’ Europa e spingere ancor più in là le proposte del Gruppo di Glienicke.

Eurozona: un’ indifendibile terra di nessuno

È tempo di ammettere che le istituzioni europee esistenti sono disfunzionali e vanno ripensate. Il problema centrale è semplice: la democrazia e i poteri pubblici devono poter riprendere il controllo sul capitalismo finanziario globalizzato del 21° secolo, regolandolo efficacemente. Una moneta unica con 18 diversi debiti pubblici, sui quali i mercati possono speculare in tutta libertà, con 18 differenti tassazioni e sistemi sociali in concorrenza sfrenata tra di loro: questo non sta funzionando e non funzionerà mai. I paesi dell’ eurozona hanno scelto di mettere in comune la sovranità monetaria, rinunciando così all’ arma della svalutazione unilaterale, senza tuttavia dotarsi di nuovo strumenti economici, sociali, fiscali e di bilancio comuni. Questa terra di nessuno è la peggiore delle situazioni.

Non si tratta di mettere in comune la totalità delle nostre imposte e dei nostri debiti pubblici. Troppo spesso l’ Europa attuale sa intromettersi stupidamente in questioni secondarie (come la tassazione Iva per i parrucchieri e per i club ippici) e si dimostra pateticamente impotente sui temi importanti (come i paradisi fiscali o la regolamentazione della finanza). Occorre invertire l´ordine della priorità: meno Europa sulle questioni su cui i paesi membri se la sbrigano benissimo da soli; più Europa quando l’ unione è indispensabile.

Un’ imposta comunitaria sulle società

Concretamente, la nostra prima proposta è che i paesi della zona dell’ euro, a cominciare dalla Francia e dalla Germania, mettano in comune la loro imposta sul reddito delle società (IRES). Da solo, ogni singolo paese viene beffato dalle multinazionali di qualsiasi provenienza, che giocano sulle lacune e le differenze tra le legislazioni nazionali per non pagare le tasse da nessuna parte. In questa materia la sovranità nazionale è divenuta un mito. Per combattere la cosiddetta ottimizzazione fiscale bisogna dunque delegare a un’ istanza sovrana europea il compito di stabilire un comune sistema di tassazione il più largo possibile e che sia rigorosamente controllato. Ci si può immaginare che ogni paese continuerà a fissare la propria tassa sui profitti sulla base di questo sistema comune, con una tassazione minima del 20% e che una tassa addizionale sia prelevata a livello federale, nell’ ordine del 10%. Ciò permetterà di alimentare un budget proprio dell’ eurozona, tra lo 0,5% e l’ 1% del PIL.

Come giustamente indicato dal Gruppo di Glienicke, una simile capacità di budgettaria permetterebbe all’ eurozona di stimolare azioni di rilancio degli investimenti, particolarmente in materia di ambiente, di infrastrutture e di formazione. Ma, diversamente dagli amici tedeschi, ci pare essenziale che il bilancio dell’ eurozona sia alimentato da un’ imposta europea e non da contributi degli stati. In questi tempi di magra nei bilanci l’ eurozona deve dimostrare una sua capacità di imposizione fiscale più equa ed efficace di quella dei singoli stati. In mancanza della quale i popoli non le daranno il diritto di spendere. A parte questo, bisognerà generalizzare assai rapidamente, nel seno dell’ eurozona, lo scambio automatico di informazioni bancarie e intraprendere una politica concertata che ristabilisca la progressività delle imposte sul reddito e sui patrimoni. Il tutto mentre si pratichi una politica attiva di lotta contro i paradisi fiscali esterni all’ eurozona. L’ Europa deve far sì che si immettano giustizia fiscale e volontà politica nella globalizzazione. Questo è il primo obiettivo della nostra prima proposta.

Un parlamento per l’ eurozona

La nostra seconda proposta, la più importante, discende dalla prima. Per votare il sistema di imposizione sulle società e più in generale per dibattere e adottare misure fiscali, finanziarie e politiche che in futuro saranno prese in comune, e farlo rispettando la sovranità democratica, bisogna istituire un parlamento dell’ eurozona. Noi ci rifacciamo di nuovo ai nostri amici tedeschi del Gruppo di Glienicke, che però esitano tra due formule: un Parlamento dell’ eurozona che raggruppi i parlamentari europei dei paesi in questione (cioè, un sottogruppo del parlamento europeo ritagliato per i paesi dell’ eurozona) oppure una Camera del tutto nuova, fondata sulla riunione di una parte dei deputati dei parlamenti nazionali (ad esempio, 30 deputati provenienti dall’ assemblea nazionale francese, 40 deputati tedeschi provenienti dal Bundestag, 30 deputati italiani ecc., in funzione del peso demografico di ogni paese, seguendo un principio semplice: un cittadino, un voto). Questa seconda soluzione, che riprende la proposta della “Camera europea” avanzata da Joschka Fischer nel 2011 è secondo noi l’ unica formula in grado di farci avanzare verso l’ unione politica. In effetti è impossibile espropriare del tutto i parlamenti nazionali del loro potere d’ imposizione. Al contrario, è solo appoggiandosi sulle sovranità parlamentari nazionali che sarà possibile costruire una sovranità europea condivisa.

Un’ architettura veramente democratica

All’ interno di questo schema l’ Unione Europea avrebbe due camere: il Parlamento Europeo attuale, eletto direttamente dai cittadini dei 28 paesi, e la Camera Europea, rappresentante degli stati attraverso i loro parlamenti nazionali. La Camera Europea riguarderebbe in un primo tempo solo i paesi dell’ eurozona, nella speranza di avanzare ancor di più verso un’ unione politica, fiscale e di bilancio. Ma essa avrebbe la vocazione di accogliere tutti i paesi dell’ UE che accettino di seguire questa strada. Un ministro delle finanze dell’ eurozona, e prima o poi un vero e proprio governo europeo, sarebbe responsabile davanti alla Camera Europea.

Questa nuova architettura democratica dell’ Europa ci permetterebbe di uscire dall’ inerzia attuale e dal mito secondo cui il Consiglio dei capi di stato potrebbe avere il rango di seconda Camera, rappresentativa degli stati. Questa favola mette a nudo l’ impotenza politica del nostro continente. È infatti impossibile rappresentare un paese solo con una persona, salvo rassegnarsi all’ impasse permanente che l’ unanimità impone. Per giungere infine al principio maggioritario sulle decisioni fiscali e di bilancio che i paesi dell’ eurozona avranno deciso di mettere in comune, è necessario creare una vera Camera europea, in cui ogni paese sarà rappresentato da deputati, che a loro volta rappresentino tutte la parti politiche, e non sarà più rappresentato dal solo capo di stato.

Mutualizzare parzialmente i debiti

La nostra terza proposta riguarda direttamente la crisi debitoria. È nostra convinzione che il solo modo per uscirne è di mettere in comune i debiti dell’ eurozona. Altrimenti la speculazione sui tassi d’ interesse riprenderà sempre di nuovo. È anche il solo modo affinché la BCE possa fare una politica monetaria efficace e reattiva, sul modello della Federal reserve americana (che avrebbe essa stessa grandi difficoltà a compiere correttamente il suo lavoro se dovesse ogni mattina fare da arbitro per i debiti tar il Texas, il Wyoming e la California). La mutualizzazione dei debiti è di fatto incominciata con il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’ Unione bancaria in gestazione e gli acquisti di titoli statali sul mercato secondario ad opera della BCE, cose che impegnano in un modo o nell’ altro i contribuenti dell’ eurozona. La legittimità democratica di questi meccanismi va chiarita al più presto.

Ora occorre andare oltre e, al riguardo, partire dalla proposta del “Fondo di ammortamento/estinzione dei debiti europei” avanzata a fine 2011 dal consiglio degli economisti del governo tedesco, proposta che propone di mettere in comune tutti i debiti che oltrepassano il 60% del PIL di ogni singolo paese, ma aggiungendo ad essa una componente politica. Non è infatti possibile decidere con venti anni di anticipo a che ritmo un tale fondo sarà azzerato. Solamente un’ istanza democratica, cioè una Camera europea uscita dai parlamenti nazionali, dovrebbe poter fissare di anno in anno il livello del deficit comune, basandosi concretamente sulla congiuntura economica.

Le scelte che saranno fatte da questa istanza saranno qualche volta più di segno conservatore, qualche altra volta di segno più liberale, cosa che personalmente ci auguriamo. Ma saranno prese in modo democratico, secondo il principio maggioritario, alla luce del sole. Alcuni a destra preferirebbero che queste decisioni di bilancio fossero affidate al chiuso di istanze post-democratiche o scolpite nel dettato costituzionale come nel marmo. Altri, a sinistra, vorrebbero avere la garanzia che l’ Europa condurrà per sempre la politica progressista che loro sognano, prima ancora di accettare ogni rafforzamento dell’ unione politica. Entrambi gli scogli vanno superati se si vuole uscire dalla crisi attuale.

Un mezzo per avanzare anche in seguito

Troppo spesso il dibattito sulle istituzioni politiche europee viene respinto come tecnico o secondario. Ma rifiutare di discutere di come organizzare la democrazia significa in realtà accettare l’ onnipotenza delle forze del mercato e della concorrenza. Significa abbandonare ogni speranza che la democrazia riprenda il controllo del capitalismo nel 21° secolo. Infatti questo nuovo spazio di decisione è cruciale per il destino dell’ eurozona. Aldilà delle questioni macroeconomiche o di bilancio, i nostri modelli sociali sono un bene comune che dobbiamo preservare e adattare, ma anche utilizzare per proiettarci con successo nella globalizzazione. Che si tratti di convergenza dei sistemi fiscali o di rafforzamento degli investimenti sociali, le iniziative della coppia franco-tedesca o le cooperazioni rafforzate non bastano più. L’ Europa in 28, su questi temi, tarda a tradurre in fatti il consenso e si contraddice non appena si tratta di mettere a disposizione dei mezzi. Una Camera Europea sarebbe il luogo in cui prendere decisioni – quanto al deficit pubblico o ai trasferimenti tra gli stati – pensando in modo esplicito alle loro conseguenze in termini di diritti e di doveri per tutti. Vasto è l’ orizzonte ed è possibile sognare che dei temi che oggi a mala pena, in futuro possano essere dibattuti, arrivando a delle conclusioni. Vedi: la co-determinazione alla tedesca, associando i lavoratori alle decisioni strategiche dell’ impresa, potrebbe essere una grande carta da giocare per conservare un tessuto produttivo coerente; oppure una cura dell’ infanzia che sia di qualità e accessibile a tutti; oppure la formazione e qualificazione professionale generalizzata per tutte le età; oppure l’ armonizzazione delle legislazioni sociali; oppure la lotta contro il cambiamento climatico facendo pagare a caro prezzo le emissioni di anidride carbonica.

I trattati si possono cambiare

Molti si opporranno alle nostre proposte sostenendo che è impossibile modificare i trattati e che il popolo francese non vuole un approfondimento dell’integrazione europea. Questi argomenti sono sbagliati e pericolosi. I trattati sono stati modificati di continuo, pure nel 2012. La questione è stata sbrigata in poco più di sei mesi. Purtroppo si trattò di una cattiva riforma dei trattati che non fa che rafforzare un federalismo tecnocratico ed inefficace. Lamentarsi che l’ opinione pubblica non ama l’ Europa così com’ è oggi e concludere che non c’ è nulla di essenziale da cambiare quanto al suo funzionamento e alle sue istituzioni, è un’ incoerenza colpevole. Se il governo tedesco avanzasse delle nuove proposte di riforma dei trattati non è detto che sarebbero più soddisfacenti di quelle del 2012. Invece che star a guardare è necessario avviare un dibattito costruttivo oggi in Francia, affinché l’ Europa divenga finalmente sociale e democratica.

Parigi, 14 febbraio 2014

Firmatari:

Thomas Piketty, Direttore della Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali (EHESS) e professore alla Scuola di Economia di Parigi

Florance Autret, autrice e giornalista

Antoine Bozio, Direttore dell’ istituto di Politiche Pubbliche

Julia Cagé, Economista a Harvard, e alla Scuola di Economia di Parigi

Daniel Cohen, Professore alla Scuola Normale Superiore e alla Scuola di Economia di Parigi

Anne-Laure Delatte, Economista del Centro Nazionale Ricerche (CNRS), Università di Parigi X, Osservatorio Francese delle Congiunture Economiche (OFCE)

Brigitte Dromont, Professore all’ Università Paris Dauphine

Guillaume Duval, Caporedattore della rivista Alternatives Economiques

Phlippe Frémeuax, Presidente dell’ Istituto Veblen

Bruno Palier, Direttore di ricerca al Centro Nazionale delle Ricerche Politiche

Thierry Pech, Direttore generale di Terra Nova

Jean Quatremer, Giornalista

Pierre Rosanvallon, Professore al Collège de France; direttore di Studi all’ EHESS

Xavier Timbeau, Direttore del dipartimento di analisi e previsioni all’ OFCE; Istituto di Studi Politici di Parigi.

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