( working paper )
P R E M E S S A
Quest’anno noi di Volta La Carta!! ci siamo occupati soprattutto di Europa e di questioni inerenti alla crisi economica, italiana e comunitaria. Quando si costituì nostro circolo, nella primavera del 2011, non ci saremmo di certo immaginati di dover spostare, nel giro di due anni, il baricentro delle nostre riflessioni e delle nostre iniziative, di dover passare tanto bruscamente dall’ analisi critica (ovvero autocritica) dei casi italiani a quella del quadro europeo. Ma il deterioramento di questo è stato tale da imporci un aggiustamento di tiro.
Il nostro Paese si trascina con sé una crisi politica epocale e, con essa, atavici problemi che hanno le loro radici in un incompleto passaggio alla modernità. Ne abbiamo parlato sovente. Credo anche che – grazie ai nostri ‘carotaggi’ di tipo storico – siamo giunti a fare scoperte importanti.
Contemporaneamente abbiamo notato che la crisi europea, invece di essere occasione per un ripensamento, per un ritorno alle ragioni storiche del processo di integrazione economica e politica del continente, ci portava ad un’ impasse epocale, celata dai salamelecchi e dalle buone maniere che mai mancano nei rituali incontri tra i governanti. Cose che a ben guardare sanno di beffa.
Spesso mi sono chiesto quali sono gli incagli maggiori che impediscono a noi cittadini della UE e dell’ Eurozona di uscire dalle secche in cui ci troviamo. Voglio essere franco fino in fondo, perché solo così ci si capisce meglio e si guadagna tempo. La risposta che mi do è questa. I due macroproblemi – se mi è permesso questo neologismo non tanto bello – sono a mio avviso l’ economicismo con cui si guarda da troppo tempo al nostro continente e l’ autismo collettivo di cui è preda il popolo tedesco.
La UE è cresciuta troppo e male. Si è nei fatti trasformata sempre più in una grossa zona di libero scambio e di importanti sinergie tra le differenti economie nazionali, ma pure di crescenti squilibri. Squilibri amplificati dall’ introduzione dell’ euro. Una moneta che, così com’ è concepita, ha lasciato libero campo a strategie non solo non-cooperative, ma anche competitive tra le loro economie nazionali. Di più. La concezione economica dominante a Bruxelles e nelle capitali dei Paesi economicamente più solidi giustifica questo stato di cose, lo trova naturale. Non entro nel merito di questa che ha tutti i crismi per essere considerata un’ ideologia (nel senso marxiano del termine). È giusto che il calcolo economico sia l’ elemento-guida? Non si tradisce così la grande complessità della nostra civiltà?
‘Autismo’: usato in metafora, questo è il termine più adatto ad afferrare l’ atteggiamento del popolo tedesco verso gli altri europei. Non parlo di singoli. Il discorso vale con quel tanto di indeterminazione che ci offre l’ espressione ‘per lo più’. Ma è chiarissimo che in Germania facciamo quotidianamente i conti con una corposissima disposizione-tendenza nazionale. Ancora poche sere fa, il 10 ottobre, ascoltavo sulla Tagesschau delle 20:00 il ministro delle finanze Schäuble e il presidente della Bundesbank Weidmann difendersi dalle forti critiche espresse loro all’ incontro annuale del Fondo Monetario. Entrambi recitavano ancora una volta il loro mantra ordo-liberista che suonava e suona del tutto estraneo alla dura realtà keynesiana in cui viviamo da alcuni anni. E pensavo che in Germania regna un unanimismo quasi totale su queste posizioni. Mi chiedevo: come è possibile?
In quel momento mi sono ricordato delle parole che la scrittrice Irène Némirosky, nel suo splendido libro “Suite française”, mise in bocca al tenente della Wehrmacht Bruno von Falk, di stanza nel 1941 nel sud della Borgogna. “Nous autres, Allemands, nous croyons en l’ esprit de la communauté dans le sens où l’ on dit qu’ il y a chez les abeilles l’ esprit de la ruche. Nous lui devons tout: sucs, éclats, parfums, amours…” (“Suite française”, Denoel 2004; parte seconda: “Dolce”, capitolo 12, pag. 409). [ “Noi altri tedeschi crediamo nello spirito della comunità, così come si parla per le api di spirito dell’ alveare. Gli dobbiamo tutto: succhi, fulgori, profumi, amori…” ].
E poi, più avanti, sempre nella seconda parte: “Pour nous autres, Allemands, ce qui est à la fois notre défaut nationale et notre plus grande qualité, c’ est la manque de tact, autrement dit défaut d’imagination; nous sommes incapables de nous mettre à la place d’ autrui; nous le blessons gratuitement; nous nous faisons hair, mais cela nous permet d’ agir d’ une manière inflexible et sans défaillance “. (ivi: capitolo 20, pag. 481-482). [ “Per noi altri tedeschi… il nostro difetto nazionale è al tempo stesso la nostra maggiore qualità. È la mancanza di tatto, detto altrimenti, è la mancanza di immaginazione; siamo incapaci di metterci nei panni degli altri: li feriamo in modo gratuito; ci facciamo odiare, ma ciò ci permette di agire con intransigenza e in maniera indefettibile” ].
Come sappiamo, spesso dove faticano ad arrivare politologi, storici o sociologi, sicura fa centro la freccia del poeta o del filosofo.
Tutto questo per dire che, sulla scorta di forti sollecitazioni che ci vengono dal presente, urge occuparsi dei fondamenti della civiltà europea,. Con questi chiari di luna è bene guardare lontano e allargare al massimo l’ orizzonte della riflessione. Per fine novembre abbiamo invitato il prof. Aldo Schiavone a parlarci del fondamento greco-romano della nostra civiltà. Nelle pagine che seguono inizio ad occuparmi, con la debita modestia del non-specialista, dell’ altro fondamento: quello cristiano. Vi avverto che quello che vi offro qui sotto è solo un prodotto semilavorato. Ve lo mando lo stesso sperando di ricevere da voi spunti e critiche.
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1 ) L’ Europa non è in primis una realtà definibile in termini etnici né geografici. Lo è invece solo quale civiltà.
2 ) In Europa ci sono molte etnie e molte culture, ma una sola civiltà.
Su questi due punti non possiamo transigere, se vogliamo render giustizia al costrutto a cui continuamente ci riferiamo, quando parliamo di Europa. Un costrutto in due sensi: costrutto concettuale-ideale ed entità che si è costruita nella storia. [ Costrutto vs. realtà biologico-naturale ]
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NOTA sui concetti di cultura e civiltà:
Breve excursus linguistico: spontaneamente non parliamo di civiltà anglosassone o di civiltà italiana, bensì di civiltà latina, o cristiana, o neolatina. Parliamo anche di civiltà bizantina o micenea o mesopotamica o egizia. Perché? Proviamo a dare una risposta.
Un’ osservazione in prima battuta:
Culture sono anche realtà storiche collettive semplici, prive di città, di istituzioni centrali complesse, prive di una classe dirigente. Ogni cultura si agglutina attorno a una lingua o famiglie di lingue, sviluppa una religione, usi e costumi propri, sistemi di produzione propri, forme familiari e di parentela proprie, così come forme patrimoniali e di trasmissione del patrimonio proprie, collettive, familiari o personali. Ma culture possono anche crescere come ‘sottobosco’ di una civiltà, costituire variazioni particolari di questa. E possono essere altamente complesse.
Una civiltà è
* sia il modo di organizzarsi e di strutturarsi di un gruppo umano (più o meno vasto) sul lungo periodo,
** sia un insieme coerente di disposizioni che questo gruppo umano ha sviluppato nel configurare la vita in comune, individuale e familiare,
*** sia una visione del mondo, dell’ uomo e del divino.
Ma questo vale certamente e sempre anche per le culture evolute (Hochkulturen). Sì, ma una cultura evoluta non è ancora una civiltà finché >>>>>>>
non si pone come un UNIVERSO e non ha una PRETESA TOTALIZZANTE. Ogni civiltà ha sempre in sé una determinata pretesa di completezza. [ Totalizzazione: all’ interno. Completezza: valida per l’ interno ma da spendersi anche verso l’ esterno ]. E non esiste né è esistita mai civiltà che non fosse anche ambiziosa, spesso, addirittura arrogante.
Al porsi come universo e come istanza totalizzante sono necessarie una religione o un’ ideologia forti (è lì che si forniscono spiegazioni da considerarsi esaustive della realtà umana, naturale e divina, spiegazioni che si traducono poi anche in linee-guida per la vita individuale e sociale).
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Ma quali sono i momenti costitutivi che oggi per gli europei, più o meno consciamente, definiscono l’ Europa? Direi:
–– EGUAGLIANZA ––
a ) l’ eguaglianza di principio tra gli uomini, che si fonda sull’ idea che gli uomini sono ontologicamente uguali e sul principio normativo che tutti devono godere di uguali diritti.
–– PRIMATO DELL’INDIVIDUO e della sua LIBERTÁ ––
b ) l’ individuo viene prima dell’ intero e non è funzione dell’ intero, né può esserne una variabile dipendente;
la libertà individuale è un diritto e un bene universale; si parla infatti di intangibilità della persona; >>>> ma, uguaglianza e libertà, con che mezzi possono essere ottenute e garantite? >>>>
– ARTICOLAZIONE ISTITUZIONALE DELLA SFERA PUBBLICA –
c ) mediante determinate regole della convivenza civile e la legge;
centralità del concetto di respublica e di cittadinanza fondata sulla libera conjuratio;
i detentori della sovranità sono i cittadini, la respublica si articola in istituzioni liberamente scelte, in magistrature elettive e controllate;
si statuisce una democrazia costituzionale.
d ) amministrazione autonoma della giustizia sulla base di un diritto scritto e codificato.
e ) stato laico che ha come controparte una vivace società civile ed un’ attenta opinione pubblica; si dà grande importanza alla razionalità dello stato (come strumento per ottimizzare e garantire il bene comune).
>>>> Ma che caratteri antropologici fanno da sostrato e prodotto della civiltà europea? >>>>>
–– IL TIPO UMANO EUROPEO ––
f ) l’ idea di storia quale realtà in progress, quale ‘luogo’ in cui l’ uomo, generazione dopo generazione, costruisce il suo destino, trasforma la realtà di partenza e si progetta nel futuro; da qui anche il grande peso che viene dato al fare; l’ uomo si fa ed è ciò che fa; ognuno ‘vale’ in quanto fa e ha fatto. Con questo canovaccio e su questa traccia si è sviluppata la organizzazione economica di tipo capitalistico (proprietà privata + libero mercato quale punto di incontro e strumento di allocazione dei prodotti, del lavoro, delle risorse, dei capitali).
g ) la centralità del diritto-dovere di conoscere (il sapere è un valore i sé) e quindi dello sviluppo della scienza.
Sarebbe assurdo affermare che questi dati fossero già presenti, magari ‘a pezzi’, nell’ antichità occidentale o nel Cristianesimo antico o medievale.
Eppure, come fondamenti del processo di costruzione della nostra civiltà si impongono:
I ) l’ egemonia indiscussa della legge, la codificazione e sistematizzazione del diritto, l’idea di respublica, l’ idea e la pratica della sovranità del corpo civico
>>>> che sono anticipate nell’ antichità greco-romana;
II ) la preminenza, l’ intangibilità dell’ individuo e il primato del momento coscienziale >>>> che sono certamente un portato del Cristianesimo.
Questo ci basta per affermare
- • che l’insieme dei caratteri che poco sopra abbiamo delineato come precipui della civiltà europea si è sviluppato nei secoli su una base comune formatasi nel nostro continente già nell’ antichità e nel medioevo,
- • che la nostra civiltà ha due e solo due fondamenti storici: la civiltà greco-romana ed il cristianesimo. Il processo di formazione della nostra civiltà ha subito grandi crisi, conosciuto momenti più organici di sviluppo e salti bruschi, persino violenti, ed è poi giunto a compimento solo nella modernità europea, per poi diffondersi ed influenzare il resto del pianeta. Nulla esclude che possa però anche sviluppare nuovi tratti e momenti costitutivi. La storia umana non è conclusa.
* * *
La storia della formazione dell’ Europa è complessa e tortuosa. Sarebbe assurdo sostenere che fin dall’ inizio fosse presente bell’ e fatto un modello realizzato o da realizzare (cioè che agisse una causa finale capace di orientare il processo). L’ Europa dei greci e dei romani era ben altra cosa da quella cristiano-medievale, così pure questa era ben differente dall’ Europa moderna, e questa da quella contemporanea. E tra queste realtà ci sono grandi stacchi e differenti paradigmi.
Eppure, in nessuna di queste fasi, mai venne meno il senso di una certa comunanza identitaria. Anzi, nel tentativo di afferrare la questione che ci siamo posti, dobbiamo proprio fare attenzione alla visione soggettiva di quella comunanza, di quella certa ecumene che già i nostri antenati definivano europea. [ Autori e personaggi che attestano quel senso di comunanza sono ad esempio: Erodoto, Strabone, San Colombano, Carlo Magno, Dante, Francis Bacon ecc. ].
Allora si può forse giungere ad affermare che sia stata quest’ idea, tra l’altro sempre mutevole nelle differenti epoche storiche, ad essere il filo conduttore che ha cucito assieme la storia del nostro continente? Pensarlo sarebbe ingenuo, significherebbe cadere in una forma di idealismo teleologico, francamente insostenibile.
No, quell’ aspetto soggettivo è un significativo sintomo rilevatore, e pure un elemento fattivo, ma non può essere visto come il motore o il fondamento costruttivo della nostra civiltà. La faccenda è più complessa ed ha a che fare, a mio avviso, con due fenomeni connessi, ma ben distinti: il processo dell’ Aufhebung (termine hegeliano) e quello della tradizione. Forse è il caso di fare alcuni esempi.
Quanto Alessandro Magno ed i suoi successori fecero nella parte orientale del Mediterraneo e nel Medio-Oriente fu un superamento-conservazione dell’ esperienza delle città-stato della Grecia pre-classica e classica. Non fu una tardiva regressione verso forme di stato e di società da ‘dispotismo orientale’. Anche la cultura, la scienza, la tecnica ellenica non andarono perse, bensì si diffusero e confluirono nell’ ellenismo. Le città greche subirono uno choc epocale, non ebbero più la loro libertà e la loro autonomia politica, ma non furono cancellate. Addirittura furono fondate nuove città che riprendevano il modello ellenico. Su tutte: Alessandria d’ Egitto, che fino alla distruzione araba, rimase uno dei centri culturali, politici, religiosi ed economici più importanti dell’ antichità. Non solo. Nel bacino dell’ ellenismo si diffusero e trovarono ricetto le culture orientali. Di grande rilievo storico, per il futuro, l’ influsso ebraico.
Analogamente andarono le cose quando i Romani divennero egemoni nel Mediterraneo. Provarono subito un senso di inferiorità e di reverenza verso la cultura greca, la assorbirono, la salvaguardarono. Vi aggiunsero la loro capacità organizzativa, tecnica, logistica e militare. Così come vi aggiunsero un modo nuovo di gestire la respublica e vi apportarono la loro scienza giuridica. Si ebbe allora, di nuovo, un processo di superamento-conservazione e continuò, arricchito, il processo della tradizione (di cui tipici sono questi due momenti: il costituire un patrimonio culturale ed il portarlo-avanti).
Da quando, poi, nell’ Impero Romano, il Cristianesimo, dopo forti e sanguinose resistenze, si diffuse e si affermò, l’innovazione e la cesura furono ancora più nette. Eppure, notevoli furono gli elementi di continuità (ripeto, di superamento-conservazione). Infatti la nuova religione, pur sorta come rinnovamento e costola del giudaismo, costituì la sua teologia e le sue strutture usando molti materiali ellenistico-romani. Non solo, poté trovare nel cosmopolitismo romano, nell’ ecumene mediterranea di allora, l’ orizzonte ovvio e l’ humus per concepirsi quale religione salvifica universale. Non solo, lasciando da parte episodi di fondamentalismo e di iconoclastia, grande fu il rispetto per il sapere e la letteratura antica. Infatti, se dopo la caduta dell’ Impero Romano, la Chiesa non avesse favorito la conservazione di quel sapere, o peggio ancora, si fosse data alla distruzione sistematica dell’ antichità pagana, di questa poco o nulla ci sarebbe rimasto. Dunque, fu compiuto di nuovo un lavoro di tra-dizione.
Mi fermo qui con le esemplificazioni. Quel che mi premeva era di fare emergere i due meccanismi centrali grazie ai quali nella storia si conserva ciò che sembra o risulta razionale e positivo e al contempo si toglie di mezzo quello che pare ingiusto, sfavorevole, inadeguato o negativo. Ma anche il cancellare, per non dire il riformare, ha pur sempre in sé il momento del conservare. Infatti lo stesso negare non può prescindere da ciò che si nega. Negando ‘ci si contamina’ con quanto si nega.
Taccio ovviamente l’ elemento violento e belluino con cui è sempre impastata la storia umana. Quel che mi preme osservare è questo: il senso di appartenenza ad una civiltà definita europea non è mai venuto meno da 2500 anni a questa parte e si è potuto mettere in relazione o identificare via via in nuove forme di vita sociale, economica, religiosa e in nuove costruzioni istituzionali, proprio perché ebbe luogo un processo storico di accumulo e di selezione. Il processo non fu lineare, conobbe fasi di stallo, stadi di crescita abbastanza organica, cadute, scarti, riprese, ma finì per agglutinare diacronicamente esperienze tra di loro compatibili, alla fine pure coerenti, che hanno poi prodotto la civiltà europea, come un insieme sincronico.
Ancora una cosa di sommo rilievo: tutti questi progetti umani, tutte queste civiltà e culture, pur nella diversità, avevano un tratto comune: erano progetti di civiltà universalistici, che tendevano al cosmopolitismo. Se ben guardiamo, sia l’ ecumene ellenistico-romana, sia il Cristianesimo, sia la modernità, sia l’ illuminismo furono realtà universalistiche e cosmopolite. Non voglio approfondire questo punto perché allora complicheremmo troppo la nostra riflessione. Vale però la pena di chiedersi: questo tratto comune è forse casuale? E se non lo fosse, forse la scoperta di un nesso profondo ci aiuterebbe a capire meglio in che consiste l’ecumene europea.
* * *
Il primo nocciolo dell’identità europea era già ben chiaro ai Greci. L’ Europa era per loro grosso modo la loro area di influenza. Ed era definita soprattutto grazie alla differenza dalle altre culture e civiltà. L’ Europa era una rete di piccole entità statali in cui, anche quando la città-stato veniva retta da una monarchia, mai il monarca poteva essere un despota. Nessun uomo libero era in balia del monarca. Mai il rapporto tra suddito e re assumeva la forma del rapporto servo-padrone. A tal scopo erano previste forme di controllo e di pressione da parte dei sudditi o dei cittadini. La comunità umana non era un’ entità organica retta da una figura divina o semi-divina. Non solo, non appena superata o inglobata la fase monarchica, le città greche fecero a gara nel darsi una propria costituzione. Non che l’ individuo fosse libero da una forma di despotismo, ma il ‘despota’ era la legge, era il corpo civico nel suo insieme, era la volontà generale.
In antico l’ Europa era la parte settentrionale e occidentale del Mediterraneo. Per noi coincide con l’ area del continente euroasiatico che la nostra civiltà si è ritagliata fino a circa il 1.500 d.C.
Per lungo tempo i suoi termini geografici sono rimasti confusi. I confini si sono definiti poco alla volta. Ed è un fatto contingente che siano quelli che ora conosciamo. Furono comunque raggiunti verso la fine del primo millennio dell’ era cristiana per quella che si è soliti definire l’ Europa latina. Per quella greco-slava la faccenda è più complicata e la definizione dell’ area europea è successiva.
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EUROPA E CRISTIANESIMO
( prime note )
( I )
È un dato storico assodato che l’ area della civiltà europea sia stata disegnata e ritagliata dall’ espansione del cristianesimo latino e greco. Per capire come l’ ecumene europea si formò bisogna seguire le vie dalla cristianizzazione del nostro continente (o sub-continente).
( II )
Il Cristianesimo si definisce e costituisce nel confronto-scontro sia con il giudaismo che con la civiltà greco-romana.
[ Parole chiave: Il nesso ecumene ellenistico-romana e cristianesimo. La continuità e la cesura nettissima tra giudaismo e cristianesimo. La Bibbia ha una parte comune ed una assolutamente nuova: il Nuovo testamento. Centralità di San Paolo e di San Giovanni. Stacco tra la Genesi e le Epistole paoline ].
A ) La temperie dell’ ellenismo era assai favorevole alle religioni orientali, al monoteismo, alla scoperta dell’ individualità, a sua volta vista in relazione alla realtà cosmica:
- • vedi stoicismo, neoplatonismo, neopitagorismo,
- • vedi Filone d’ Alessandria, e la contaminazione tra concettualità ellenica ed ebraica,
- • vedi i Vangeli, che sono scritti direttamente in greco, così come gli Atti degli apostoli, l´Apocalisse e le Epistole apostoliche, per un pubblico ellenistico e cosmopolita.
B ) Lo stacco più evidente tra la Vecchia e la Nuova Alleanza lo si misura nel modo migliore confrontando in modo diretto la Genesi e le Epistole Paoline (ad esempio l’ Epistola ai Romani). Il Cristianesimo vuole istituire un’ era nuova (la quarta era) nel rapporto tra Dio e l’ uomo.
[ 1: fase post-edenica fino al Diluvio universale; 2: fase della discendenza di Noè e di un’ unica umanità fino alla costruzione della torre di Babele; 3: fase semitico-israelitica ( Abramo-Isacco-Giacobbe-Mosè); 4: Cristianesimo ]
C ) La continuità con l’ ebraismo: 1) Dio è creatore ed è persona, interviene nella storia, ha pensato un modello per l’ uomo, si prende cura di lui, ma al contempo ha certe pretese morali;
2 ) anche il Cristianesimo è religione salvifica; 3 ) assegna un ruolo centrale alla coscienza dell’ individuo, alla sua condotta di vita, all’ etica in vista della salvezza.
Tutti questi tratti sono ovviamente altrettante rotture con l’ antichità greco-romana.
( III )
I due ceppi del cristianesimo: quello greco-orientale e quello latino-occidentale.
Ad esempio Origene, Clemente alessandrino vs. Lattanzio, Mario Vittorino, S. Ambrogio, S. Agostino.
Le tre posizioni rispetto all’ Impero romano:
- l’ anarchico-negativa di Origene,
- la quietistica di Eusebio di Cesarea,
- la critico-costruttiva di S. Agostino, che teorizza il ruolo guida della Chiesa anche nella cose mondane.
( IV )
Il Cristianesimo rompe il nesso affermatosi nell’ antichità pagana tra autorità politica ed autorità religiosa: si era giunti al culto dell’ Imperatore quale Pontifex maximus e quale mediatore tra il logos o nous divino ed il cosmo.
Ma qui si crea presto una differenza tra cristianesimo greco-bizantino e cristianesimo latino-cattolico.
Nel primo la figura dell’ Imperatore mantiene una notevole sacralità, non più pagana ma cristiana. Non solo. Il cristianesimo si interiorizza fortemente e non acquista affatto lo slancio a trasformare il mondo. Preminenza dell’ ascesi individuale, dell’ eremitismo, del monachesimo, della santità al di fuori e contro il mondo. Da qui la sua tendenza quietistica ed il cesaropapismo.
Il secondo sviluppa una teologia della Chiesa militante, che si impegna attivamente e fattivamente nel mondo. Questa tendenza è efficacemente espressa nella concezione agostiniana della Chiesa come città di Dio, che vive anche nel mondo ed ingaggia una strenua lotta con la città del diavolo.
Il cristianesimo occidentale e le due vie possibili in base ai Vangeli e al Nuovo Testamento: la separazione netta tra autorità secolare ed autorità religiosa, oppure la preminenza della seconda sulla prima, per guidarla e condizionarla. Quale imboccare? La Chiesa latina imboccò decisamente la seconda. In ogni caso non si trattava più di una visione strettamente teocratica o ierocratica del potere, dove sacerdozio e regalità fanno tutt’uno ( vedi Israele o Bisanzio ).
Gli sviluppi del modello del cristianesimo latino sono stati assai conflittuali e turbolenti, ma alla fine si giunse alla separazione e alla reciproca autonomia delle due sfere. Uno spiraglio per una tale separazione sempre ci fu (almeno teoricamente) ma fu a lungo negato. Ma ora questo aspetto è uno dei tratti caratteristici della nostra civiltà. Nella stessa Europa orientale invece, a tutt’oggi, il problema ancora non è risolto.
[ In parte: relazione tenuta l’ 8 / 10 / 14 a Volta La Carta!! e. V.]
Heidelberg, 14 / 10 / 2014
Beppe Vandai
per
http://voltalacartaheidelberg.blogspot.it/
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