SCHEDA di BEPPE VANDAI
per
VOLTA LA CARTA!! e. V.
Heidelberg
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Il succo dell’ articolo di David Wessel Five Reasons to Worry About
Deflation (“ Cinque motivi per temere la deflazione”) – Wall Street Journal del 16.10.14 – http://blogs.wsj.com/washwire/2014/10/16/5-reasons-to-worry-about-deflation/
consigliato da
Paul Krugman
è questo:
La deflazione comporta cinque gravi problemi:
a ) Il deflazione consiste nel declino dei
prezzi e in parte dei salari (soprattutto per chi è costretto al part-time e a
lavori occasionali). Per chi subisce tagli di reddito il declino dei prezzi è
una magra consolazione;
b ) Vista la rigidità dei livelli
salariali, la deflazione genera soprattutto disoccupazione e sotto-occupazione,
spaccando in due il mondo del lavoro;
c ) La deflazione innesca o accentua una
spirale recessiva e depressiva. Infatti i consumatori, aspettandosi ribassi dei
prezzi delle merci e dei servizi, dilazionano ancor di più il consumo, a
detrimento della produzione e degli investimenti;
d ) La deflazione è terribile per i
debitori, poiché il loro debito si aggrava. Debito che in termini nominali
rimane lo stesso, ma in termini reali aumenta;
e ) Rende difficilissime, se non inutili,
le operazioni antirecessive delle banche centrali. Infatti, anche se una banca
centrale porta il tasso d’ interesse a zero, e c’ è deflazione, anche il fatto
di tenere i soldi sotto il cuscino produce un interesse reale positivo (aumento
del valore del denaro). Così si entra nella trappola della liquidità. Si
preferisce cioè tenersi liquidi, non si ha alcuna motivazione a prestare, a
investire e a prendersi rischi. Così si alimenta il cosiddetto credit crunch. A questo punto la banca
centrale non riesce a far andare il tasso d’ interesse sotto lo zero (se non
per le riserve bancarie presso la banca centrale stessa). L’unica soluzione
possibile è il Quantitative Easing. Che
non è privo di controindicazioni e non sempre facile da lanciare ( soprattutto
dove volano i perma-hawks (i
sempre-falchi) ).
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MIA BREVE NOTA sulla coppia di opposti inflazione
– deflazione.
Un sano livello di inflazione aumenta lo
stimolo ad investire, ad acquistare, a produrre. Aiuta i debitori a sdebitarsi,
incoraggia chi vuole investire e, per farlo, deve prendere a prestito. Ma che
significa un “sano livello di inflazione“? Come lo si può determinare? Non
esiste una regola universale. Forse si può affermare questo: * finché non
zavorra un’ economia, non danneggia gli investimenti e non fa fuggire i
capitali, ** finché non procura un marcato e costante svantaggio
competitivo per un Paese rispetto ad un altro che abbia un peso economico rilevante
per il primo; allora il livello dell’ inflazione non è pernicioso per un
Paese.
Si dice spesso che l’ inflazione sia un
esproprio strisciante. In gran parte è vero, soprattutto, se si supera una
certa soglia. Bisogna però riflettere su questo punto. L’inflazione è in fondo
una tassa universale, che spalma su tutti… i ‘peccati’ dei debitori. Se lo fa
in modo soft è da preferire alla fortissima punizione che la deflazione causa
in ampi settori della popolazione. La cosa peggiore nella deflazione è che
punisce soprattutto chi si vede tagliato l’ accesso al futuro lavorativo, cioè
i giovani, che potrebbero o dovrebbero apportare
ad un sistema economico più creatività, innovazione e crescita.
La deflazione, proprio per come opera,
allontana ogni economia dal suo potenziale produttivo e lavorativo. Su questo
sono tutti d’accordo. Ma non per tutti gli economisti ha la stessa importanza. Infatti,
nel giudicarne la portata, decisivi sono l’ approccio mentale, la visione del
mondo, i principi normativi che ognuno ha. A questo punto si esce dal discorso
meramente economico ed emergono le premesse implicite che sempre sono a monte di
ogni posizione economica. E l´atteggiamento, spesso opposto, verso la coppia di
opposti inflazione/deflazione è un’ ottima cartina di tornasole per conoscere la
Weltanschauung di chi la giudica. Ad esempio, la deflazione non era un gran
problema per un neo-liberista come Milton Friedman, così come non lo è per un
ordo-liberista come Hans-Werner Sinn, soprattutto se è la deflazione degli
altri. Era invece il massimo problema per un Irwing Fisher o per un J. M. Keynes.
A questi appariva uno scandalo che un’ economia non potesse avvicinarsi al suo potenziale
massimo e che la disoccupazione fosse più alta della sua soglia fisiologica (
più o meno il 4% della forza lavoro occupata ).
Ma l’ atteggiamento verso l’ inflazione o
la deflazione è anche dettato da tangibilissimi interessi materiali. Di certo
l’ inflazione non è gradita da chi ha un reddito fisso, a lavoratori dipendenti
e pensionati, mentre la deflazione è vista come una grande iattura dai
disoccupati, da sottooccupati, da precari e dagli occupati nei settori o nelle
imprese più esposte alla crisi Inoltre,
come dicevamo sopra, l’inflazione è di certo malvista dai creditori e benvista
dai debitori. Il contrario vale per la deflazione.
Credo che una
valutazione equa debba confrontarsi con questi aspetti e punti di vista, ma,
fatta una ricognizione, superarli in fretta. Entrambe i fenomeni possono essere altamente distruttivi
per un’ economia, una volta che hanno superato i livelli di guardia e la loro
dinamica interna ha rotto gli ormeggi. E il contesto è sempre decisivo. Inflazioni
come quella tedesca del 1923-24 o quella sudamericana degli anni settanta sono incompatibili
con il buon funzionamento di un’ economia nazionale. Lo stesso vale per una
deflazione da Grande Depressione.
Eppure, anche in
questi casi è possibile rispondere razionalmente alla domanda: “qual’ è il male
minore?”. E la risposta è: quasi sempre l’inflazione. Ma perché? Soprattutto
per questi due motivi:
A ) L’inflazione
è, in fondo, entro certi limiti, più egualitaria. Ci sono sì quelli che ci
possono ‘sguazzare’ meglio (penso ai lavoratori indipendenti, ai commercianti,
ai locatori, all’industria), mentre chi ha un reddito fisso è ‘sempre in
ritardo’ nel cercare di rifarsi dalla perdita di valore della moneta. Ma bene o
male, nella ‘corsa monetaria’, è data a tutti, anche se in misura diversa, la
chance di riavvicinarsi alla lepre. Va però aggiunto che, se la corsa dura troppo
o si fa troppo frenetica, l’ economia nazionale nel suo insieme perde slancio; a
quel punto il calcolo economico delle imprese risulta sempre più difficile, i
capitali fuggono dal Paese che ne è colpito, la moneta perde talmente valore
rispetto alle altre da diventare infida e da rischiare di venir spodestata
anche negli scambi interni al Paese. L’ importante è fermarsi prima che il
declino diventi grave o gravissimo.
La deflazione
invece lascia completamente disarmati importanti settori della popolazione,
spacca in due il mercato del lavoro, punisce soprattutto i lavoratori a scarsa
qualificazione ed i giovani, mette a repentaglio o addirittura blocca l’
innovazione. Non solo. Ha effetti distruttivi più rapidi e più profondi dell’
inflazione.
B ) È più facile
giungere a controllare l’ inflazione che la deflazione. Parimenti, la riduzione
dell’ inflazione può essere ben più rapida che la risalita dalla
recessione-o-depressione che sempre accompagna la deflazione. La cosa è facile
da capirsi se si fa mente locale sul fatto che la deflazione non influisce solo
sulla moneta, ma erode e destruttura fin dall’inizio la capacità produttiva di
un sistema.
E mentre, per
frenare l’ inflazione, le banche centrali hanno mezzi assai efficaci, come l’
aumento dei tassi d’ interesse, sono molto più disarmate per combattere la
deflazione. Anzi, da sole proprio non ce la fanno. Occorre uno sforzo congiunto
dello stato e di tutta la società per risollevare un’ economia caduta in
deflazione.
Ultima nota: è
più facile restaurare la fiducia nella moneta che nell’ apparato produttivo di
un intero Paese.
Se soppesiamo i
costi ed i benefici, dobbiamo dunque concludere che un’ inflazione moderata è
di gran lunga preferibile alla deflazione o all’inflazione-zero.
Per di più, in
questa fase storica, non ci sono motivi per temere una forte inflazione. La
popolazione nei Paesi più sviluppati diminuisce, è in atto una forte globalizzazione,
le tecnologie della comunicazione facilitano le razionalizzazioni. Insomma,
quando si sentono parlare i sempre-falchi, viene piuttosto da pensare agli
avvoltoi.
Heidelberg, 29 / 10 / 2014
Beppe Vandai
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