lunedì 1 dicembre 2014

INFLAZIONE / DEFLAZIONE



SCHEDA di BEPPE VANDAI
per
VOLTA LA CARTA!! e. V. Heidelberg

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Il succo dell’ articolo di David Wessel Five Reasons to Worry About Deflation  (“ Cinque motivi per temere la deflazione”) – Wall Street Journal del 16.10.14http://blogs.wsj.com/washwire/2014/10/16/5-reasons-to-worry-about-deflation/
consigliato da Paul Krugman
è questo:


La deflazione comporta cinque gravi problemi:


a ) Il deflazione consiste nel declino dei prezzi e in parte dei salari (soprattutto per chi è costretto al part-time e a lavori occasionali). Per chi subisce tagli di reddito il declino dei prezzi è una magra consolazione;


b ) Vista la rigidità dei livelli salariali, la deflazione genera soprattutto disoccupazione e sotto-occupazione, spaccando in due il mondo del lavoro;



c ) La deflazione innesca o accentua una spirale recessiva e depressiva. Infatti i consumatori, aspettandosi ribassi dei prezzi delle merci e dei servizi, dilazionano ancor di più il consumo, a detrimento della produzione e degli investimenti;


d ) La deflazione è terribile per i debitori, poiché il loro debito si aggrava. Debito che in termini nominali rimane lo stesso, ma in termini reali aumenta;


e ) Rende difficilissime, se non inutili, le operazioni antirecessive delle banche centrali. Infatti, anche se una banca centrale porta il tasso d’ interesse a zero, e c’ è deflazione, anche il fatto di tenere i soldi sotto il cuscino produce un interesse reale positivo (aumento del valore del denaro). Così si entra nella trappola della liquidità. Si preferisce cioè tenersi liquidi, non si ha alcuna motivazione a prestare, a investire e a prendersi rischi. Così si alimenta il cosiddetto credit crunch. A questo punto la banca centrale non riesce a far andare il tasso d’ interesse sotto lo zero (se non per le riserve bancarie presso la banca centrale stessa). L’unica soluzione possibile è il Quantitative Easing. Che non è privo di controindicazioni e non sempre facile da lanciare ( soprattutto dove volano i perma-hawks (i sempre-falchi) ).


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MIA BREVE NOTA sulla coppia di opposti inflazione – deflazione.

Un sano livello di inflazione aumenta lo stimolo ad investire, ad acquistare, a produrre. Aiuta i debitori a sdebitarsi, incoraggia chi vuole investire e, per farlo, deve prendere a prestito. Ma che significa un “sano livello di inflazione“? Come lo si può determinare? Non esiste una regola universale. Forse si può affermare questo: * finché non zavorra un’ economia, non danneggia gli investimenti e non fa fuggire i capitali, ** finché non procura un marcato e costante svantaggio competitivo per un Paese rispetto ad un altro che abbia un peso economico rilevante per il primo; allora il livello dell’ inflazione non è pernicioso per un Paese.

Si dice spesso che l’ inflazione sia un esproprio strisciante. In gran parte è vero, soprattutto, se si supera una certa soglia. Bisogna però riflettere su questo punto. L’inflazione è in fondo una tassa universale, che spalma su tutti… i ‘peccati’ dei debitori. Se lo fa in modo soft è da preferire alla fortissima punizione che la deflazione causa in ampi settori della popolazione. La cosa peggiore nella deflazione è che punisce soprattutto chi si vede tagliato l’ accesso al futuro lavorativo, cioè i giovani, che potrebbero  o dovrebbero apportare ad un sistema economico più creatività, innovazione e crescita.

La deflazione, proprio per come opera, allontana ogni economia dal suo potenziale produttivo e lavorativo. Su questo sono tutti d’accordo. Ma non per tutti gli economisti ha la stessa importanza. Infatti, nel giudicarne la portata, decisivi sono l’ approccio mentale, la visione del mondo, i principi normativi che ognuno ha. A questo punto si esce dal discorso meramente economico ed emergono le premesse implicite che sempre sono a monte di ogni posizione economica. E l´atteggiamento, spesso opposto, verso la coppia di opposti inflazione/deflazione è un’ ottima cartina di tornasole per conoscere la Weltanschauung di chi la giudica. Ad esempio, la deflazione non era un gran problema per un neo-liberista come Milton Friedman, così come non lo è per un ordo-liberista come Hans-Werner Sinn, soprattutto se è la deflazione degli altri. Era invece il massimo problema per un Irwing Fisher o per un J. M. Keynes. A questi appariva uno scandalo che un’ economia non potesse avvicinarsi al suo potenziale massimo e che la disoccupazione fosse più alta della sua soglia fisiologica ( più o meno il 4% della forza lavoro occupata ).

Ma l’ atteggiamento verso l’ inflazione o la deflazione è anche dettato da tangibilissimi interessi materiali. Di certo l’ inflazione non è gradita da chi ha un reddito fisso, a lavoratori dipendenti e pensionati, mentre la deflazione è vista come una grande iattura dai disoccupati, da sottooccupati, da precari e dagli occupati nei settori o nelle imprese più esposte alla crisi  Inoltre, come dicevamo sopra, l’inflazione è di certo malvista dai creditori e benvista dai debitori. Il contrario vale per la deflazione.
Credo che una valutazione equa debba confrontarsi con questi aspetti e punti di vista, ma, fatta una ricognizione, superarli in fretta. Entrambe i  fenomeni possono essere altamente distruttivi per un’ economia, una volta che hanno superato i livelli di guardia e la loro dinamica interna ha rotto gli ormeggi. E il contesto è sempre decisivo. Inflazioni come quella tedesca del 1923-24 o quella sudamericana degli anni settanta sono incompatibili con il buon funzionamento di un’ economia nazionale. Lo stesso vale per una deflazione da Grande Depressione.
Eppure, anche in questi casi è possibile rispondere razionalmente alla domanda: “qual’ è il male minore?”. E la risposta è: quasi sempre l’inflazione. Ma perché? Soprattutto per questi due motivi:
A ) L’inflazione è, in fondo, entro certi limiti, più egualitaria. Ci sono sì quelli che ci possono ‘sguazzare’ meglio (penso ai lavoratori indipendenti, ai commercianti, ai locatori, all’industria), mentre chi ha un reddito fisso è ‘sempre in ritardo’ nel cercare di rifarsi dalla perdita di valore della moneta. Ma bene o male, nella ‘corsa monetaria’, è data a tutti, anche se in misura diversa, la chance di riavvicinarsi alla lepre. Va però aggiunto che, se la corsa dura troppo o si fa troppo frenetica, l’ economia nazionale nel suo insieme perde slancio; a quel punto il calcolo economico delle imprese risulta sempre più difficile, i capitali fuggono dal Paese che ne è colpito, la moneta perde talmente valore rispetto alle altre da diventare infida e da rischiare di venir spodestata anche negli scambi interni al Paese. L’ importante è fermarsi prima che il declino diventi grave o gravissimo.
La deflazione invece lascia completamente disarmati importanti settori della popolazione, spacca in due il mercato del lavoro, punisce soprattutto i lavoratori a scarsa qualificazione ed i giovani, mette a repentaglio o addirittura blocca l’ innovazione. Non solo. Ha effetti distruttivi più rapidi e più profondi dell’ inflazione.  
B ) È più facile giungere a controllare l’ inflazione che la deflazione. Parimenti, la riduzione dell’ inflazione può essere ben più rapida che la risalita dalla recessione-o-depressione che sempre accompagna la deflazione. La cosa è facile da capirsi se si fa mente locale sul fatto che la deflazione non influisce solo sulla moneta, ma erode e destruttura fin dall’inizio la capacità produttiva di un sistema.
E mentre, per frenare l’ inflazione, le banche centrali hanno mezzi assai efficaci, come l’ aumento dei tassi d’ interesse, sono molto più disarmate per combattere la deflazione. Anzi, da sole proprio non ce la fanno. Occorre uno sforzo congiunto dello stato e di tutta la società per risollevare un’ economia caduta in deflazione.
Ultima nota: è più facile restaurare la fiducia nella moneta che nell’ apparato produttivo di un intero Paese.

Se soppesiamo i costi ed i benefici, dobbiamo dunque concludere che un’ inflazione moderata è di gran lunga preferibile alla deflazione o all’inflazione-zero.
Per di più, in questa fase storica, non ci sono motivi per temere una forte inflazione. La popolazione nei Paesi più sviluppati diminuisce, è in atto una forte globalizzazione, le tecnologie della comunicazione facilitano le razionalizzazioni. Insomma, quando si sentono parlare i sempre-falchi, viene piuttosto da pensare agli avvoltoi.


 Heidelberg, 29 / 10 / 2014

Beppe Vandai

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